Achille Lauro ha viaggiato a lungo in America, una Nazione che l’ha cambiato come racconta in un’intervista a La Repubblica: “Mi ha aiutato a capire come sono diventato quello di oggi. Il fatto è che nessuno riesce a ingabbiarmi, voglio sabotare la mia carriera”.

Lauro ha anche rivelato di aver avuto molti tentennamenti quando gli proposero Mille che poi si rivelò un tormentone, nonostante sia molto distante dal suo percorso musicale: “Non ero convinto. Quando ho sentito il ritornello cantato da Orietta Berti ho capito che era un’immersione negli anni 60. È stato un esperimento di intrattenimento, ha avuto un successo spaventoso. E poi, ripeto, mi piace l’idea di non essere incasellabile”. 

Achille non è sempre stato come lo conosciamo oggi, a causa del suo passato: “Sono cresciuto in un ambiente in cui la cultura non è contemplata. Quando vivi nel trauma tendi a normalizzare tutto, ma poi sono diventato allergico a certi modi, mi sono sentito una nullità. Questo mi ha acceso la curiosità, ho imparato a imparare dagli altri. La cosa più spaventosa era pensare di diventare una persona senza un posto nel mondo, senza una base”. 

E prosegue: “Ringrazio però di aver conosciuto quella faccia, a Roma c’è poesia ovunque, anche nella disillusione. È molto pasoliniana. Il fatto di aver messo insieme tanti generi e storie mi ha permesso di non avere ascoltatori casuali”. Roma è una città a cui “devo tutto. Lontano mi sono sentito solo, e riuscivo a trasformare in musica certi vuoti”. Dopo il passato c’è il futuro: tra 10 anni come si vede? “Libero e pronto a gettarmi nel mondo senza rete. A gettarmi nel vuoto. Non voglio cadere nella trappola di pensare che il successo sia felicità. I miei obiettivi, almeno quelli, sono infiniti”.