di Lucio Garofalo
Nel giorno consacrato alla commemorazione dei defunti si celebra una consuetudine soltanto all’apparenza rituale e simbolica, per tributare un omaggio ai propri cari scomparsi. A parte mia nonna, ricordo un paio di cari amici dell’infanzia e dell’adolescenza, rimasti sepolti sotto le macerie del sisma del 1980, che rase al suolo Lioni ed altri centri dell’Irpinia e della Lucania.
Altra ricorrenza che si avvicina: i 43 anni del 23 novembre 1980. Il 2 novembre richiama alla memoria un altro mesto anniversario, quello della tragica morte di Pasolini, l’intellettuale italiano più inviso ed osteggiato dai palazzi del Potere, il più controverso e scomodo del Novecento. Questa circostanza fornisce agli sciacalli ed avvoltoi della disinformazione ufficiale l’occasione per reiterare un’opera di mistificazione del pensiero di Pasolini. Alludo a chi distorce e strumentalizza in modo becero la posizione che Pasolini assunse il 16 giugno 1968, quando uscì il poemetto in versi dal titolo “Il PCI ai giovani”, dedicato agli scontri di Valle Giulia, a Roma, tra gli studenti e la polizia. In tale vicenda è noto che Pasolini “si schierò” dalla parte dei celerini, poiché di estrazione proletaria. Inoltre, accusò in modo esplicito la “massa informe” degli studenti sessantottini, figli di una borghesia che Pasolini detestava in maniera viscerale. Ma in pochi sanno che Pasolini non disdegnò, né si rifiutò mai di collaborare con alcuni movimenti e settori della contestazione, emersi in quegli anni: non soltanto Lotta Continua, ma anche altre formazioni politiche extraparlamentari, con cui egli ebbe occasione di condividere esperienze di controinformazione. Si pensi alla controinchiesta del Collettivo politico di Lotta Continua, con cui realizzo il docufilm “12 dicembre”, uscito nel 1972, dedicato alla strage di Piazza Fontana. Fu un impegno che coinvolse direttamente Pasolini, in quanto contribuì al lavoro di sceneggiatura del film. La disonestà intellettuale di sedicenti “operatori dell’informazione”, veri avvoltoi e pennivendoli, prezzolati al soldo del potere, si evidenzia nel fatto che essi raccontano soltanto la versione dei fatti a loro più comoda, o più conveniente, mentre tacciono ed omettono, o fingono di dimenticare la parte di verità che non è funzionale al potere che servono e riveriscono. Un altro elemento che qui mi preme porre in risalto, è il rispetto persino sacrale che Pasolini nutriva verso quelle identità culturali ed antropologiche in via di estinzione, quelle realtà di carattere localistico e particolaristico. Era un interesse intellettuale da non fraintendersi come un’attitudine retriva, né di natura nostalgica, bensì riconducibile ai valori più genuini dell’umanità, cioè valori vitali, annientati nel giro di alcuni decenni da una rapida omologazione socio-culturale, prodotto dell’ideologia consumista ed edonista della classe borghese più feroce e vorace. A tale riguardo mi viene in mente un’altra di quelle “provocazioni” che Pasolini esternò oltre 48 anni fa, un’intuizione di segno quasi “profetico”, frutto del suo ingegno inarrivabile e del suo coraggio civile: in una società ultra-consumista di massa, che favorisce e pompa consensi verso le “rivoluzioni di destra”, di stampo neoliberista, cioè mutamenti antipopolari ed antidemocratici, il paradosso più atroce è che i “rivoluzionari” sono i “conservatori”, coloro che si oppongono ai bruschi e violenti cambiamenti innescati nella cornice neo-capitalistica. Sono processi liberticidi, brutali e disumani, effetto di una cruenta accelerazione storica, che ha generato un modello di “sviluppo” irrazionale ed alienante e conseguenze di squilibrio sociale e di degrado etico e civile. L’esito è stato uno spaventoso scenario di “globo-colonizzazione” a scapito dei popoli e dei diritti più elementari degli esseri umani, il diritto ad una sanità e un’istruzione pubblica e gratuita, che dovrebbero essere diritti garantiti a tutti i cittadini, e non privilegi esclusivi riservati alle classi più facoltose. L’attualità di Pasolini e delle sue riflessioni “corsare”, oggi risulta sconcertante: il suo pensiero, che 48 anni fa appariva visionario ed eretico, oggi è più vitale e più moderno di qualsiasi “rivoluzione liberale” imposta dal capitalismo globalizzato.