Abbiamo perso l’abitudine. Di fermarci a riflettere. Di sentire le cose del mondo. Di sentirci parte delle cose del mondo. Di agire per cambiare qualcosa. Di tentare, almeno. Abbiamo perso anche l’abitudine di ascoltare musica d’autore. Quel tipo di musica impegnata che segue il destino della guttacavatlapidem. Che scuote le coscienze. Che ci risveglia dai ritmi quotidiani. Quelli che rischiano di renderci insensibili anche a tragedie come la guerra, il femminicidio… Vinicio Capossela è un cantautore. Attento, geniale, scrupoloso, filologo. Sente quella responsabilità sociale che è moto creativo per l’artista. E mentre le vetrine d’inizio autunno si colorano dei rossi natalizi, di abeti, di Babbi Natale canuti e imbolsiti col sacco di juta, e di best of e greatest hits delle canzoni inneggianti al Natale, ecco «Tredici canzoni urgenti» (premio Tenco per il miglior album). Non vogliamo santificare nessuno, per carità. Ché il buon Vinicio, ci siamo informati, il suo cadeau delle feste l’aveva preparato, salvo poi accorgersi che la libertà è azione e responsabilità, cambiare direzione e tirare fuori da chissà quale dei suoi amati copricapi un disco. Anzi no, di meglio, un tour per tanta Italia, per 30 città. E senza neanche arrivare a parlare delle bellissime e urgenti 13 canzoni, ne accenneremo con lui, ecco un’altra meraviglia, il titolo della tournée «Con i tasti che ci abbiamo – Tredici canzoni urgenti in teatro». Sì, perché il senso del suo lavoro sta tutto in questo titolo. È un invito che prescinde dal merito dei temi affrontati.
«Quando mancano dei tasti dal pianoforte bisogna cercare melodie con quelli che sono rimasti – dice Capossela – . Il nostro concerto vorrebbe essere un invito a fare con quello che si ha, a fare dei limiti una possibilità e soprattutto a non avere paura di sbagliare».
Tredici canzoni urgenti… quest’urgenza trasmette una gran voglia di impegnarsi, di non rimanere impassibili, di non assuefarsi alle tragedie a cui il mondo, noi sembriamoci esserci abituati…
«Quando si cerca di acquisire consapevolezza delle cose tristi, dolorose, queste, poi, vanno in qualche modo anche denunciate, innanzitutto dalla propria coscienza. E non è soltanto per il gusto di demolire. E non è soltanto per dire “vabbè è così e siamo terribili”. Ma è anche, soprattutto, per indicare dove sta l’errore per cercare di migliorare, di andare avanti. Spesso i problemi non vengono affrontati, ad esempio, dalla politica, e rimangono. Spesso hanno anche un fronte che parte da noi, dal nostro inconscio».
Ti ho sentito parlare della guerra, ce ne sono tante sparse in giro per il mondo. Non è mai finita, la guerra. Che semina terrore, morte, vittime…
«La prima vittima di ogni guerra è l’innocenza. Perché quando è in atto un conflitto immediatamente scompaiono tutte le ragioni. Bisogna per forza uniformarsi a un qualcosa di profondamente astratto, a un concetto che per sua natura non può accogliere una ragione, che sia una sola e che sia quella. A quel punto si diventa disfattisti oppure pacifisti. Insomma, si viene forzatamente arruolati, in quell’esercito o in quell’altro. E la verità diventa la seconda vittima dopo l’innocenza perché in quella situazione non c’è più la possibilità di ragionare!».
«La storia rinnova la vecchia lezione, al potere l’immaginazione»… «Con i tasti che ci abbiamo» possiamo tornare a riappropriarci della nostra libertà, tornare a usare anche l’immaginazione?
«Da bambino avevo il gran desiderio di possedere uno strumento con i tasti e non avendolo ho disegnato i tasti su una tavola di legno e scritto sopra delle cose immaginarie. La musica – come in generale la vita – è prima immaginata e poi vissuta. E nell’immaginare un qualcosa c’è anche un desiderio che in seguito si cerca di realizzare nel concreto. Immaginare le cose può essere rivoluzionario perché soltanto immaginandole si cerca poi di adeguarle alla realtà. I tasti però bisogna averceli e quando non si hanno tutti a disposizione, quando le cose si rompono e vanno in pezzi, come sta accadendo oggi, allora bisogna darsi da fare con quello che c’è e acquisire la consapevolezza di un limite, e di questo limite riuscire a fare una possibilità. Già essere consapevoli del limite è un passo importante, specie in questa società che spesso spinge al “No Limits”. Beninteso, dobbiamo sognare in grande, ma avere consapevolezza di chi siamo, di cosa possiamo fare. È importante aver cura dei desideri, che siano veramente nostri e non indotti. Ché i desideri possono essere causa di frustrazione e insoddisfazione».
Sei in tour nei teatri di tutta Italia. 30 date. 30 città. Basterà a scuotere le coscienze? La musica d’autore, così come il cinema e ogni altra forma d’arte, pensi possa provocare – come un tempo – una qualche reazione, o quanto meno suscitare qualche riflessione?
«Credo nella canzone come forma di pensiero che può aggiungere un’emozione alla parola per mezzo della musica. Non è in grado di cambiare il mondo però può essere veicolo di qualcosa. Può aggiungere consapevolezza, bellezza, bruttezza, ironia. Credo che tutto stia un po’ nella sincerità, nella verità che cerchiamo di metterci dentro. Non è in grado di cambiare il mondo, ma almeno quello che posso fare io è cercare di passare il secchio perché intanto la musica è questo: cercare di passare il secchio senza trattenerlo, come se fosse una lunga catena umana. E cercare magari di essere occasione per lasciar circolare idee, versi, anche di altre musiche, ma nello specifico di questo disco di tirar fuori consapevolezze un po’ diverse che a mio parere si impongono, ora come ora».
Vinicio Capossela sarà al teatro Politeama di Catanzaro domani alle 21, grazie all’impegno dell’onnipresente Pino Citrigno e della sua «L’altro Teatro», sempre vicini agli eventi culturali di prestigio con artisti di primissimo piano, nazionale e internazionale. Capossela sarà poi sabato al teatro Duemila di Ragusa, domenica al Bellini di Catania e lunedì al Golden di Palermo.