Nicola Gratteri,  che dal 2016 era procuratore di Catanzaro, nel tirare le fila dell’indagine “Scott-Rinascita”, nel 2019 evidenziava il ruolo avuto dalle donne del clan in tale circostanza, identico a quello di tutte le donne di ’ndrangheta che non esitano a far leva sui sentimenti più intimi, a colpire subdolamente nei momenti di particolare fragilità, pur di lavare l’onta del disonore. Il magistrato, in quell’occasione, si riferiva alla vicenda che vide protagonista il “pentito” Emanuele Mancuso, oggetto di minacce affinché non proseguisse la collaborazione con la giustizia.

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Ma di “onorevole” per il procuratore capo di Catanzaro nella vicenda delle promesse, dei ricatti e delle minacce a un collaboratore di giustizia, non c’è proprio niente. Non c’è niente perché «la ’ndrangheta non è onore» perché si è fatto leva, per il ricatto, su una bambina di pochi anni, perché «le “regole” nella ’ndrangheta sono per gli altri, per gli utili idioti che entrano a farne parte, sono per i garzoni e non certo per i capi che fanno il bello e cattivo tempo contro ogni regola».

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Ma le regole in questo caso sono stati gli inquirenti e i carabinieri a volerle far rispettare «perché – evidenziò il magistrato – abbiamo pensato che una cosa come questa non poteva passare. E allora ci siamo dati da fare a tutela della bambina e del collaboratore».

«Un messaggio importante – aggiunnse Nicola Gratteri – soprattutto per i giovani che vogliono cambiare. Noi diamo e concretamente la possibilità di farlo è una promessa che facciamo da tempo ecco perché a questo caso abbiamo dato la stessa attenzione riservata all’operazione “Scott-Rinascita”. Oggi ci sono tanti giovani che hanno il tarlo del dubbio e noi dobbiamo essere seri e professionali, anche per un semplice fatto di imputazione. Questi due arresti sono fondamentali per far capire che abbiamo il controllo della situazione, che siamo sul pezzo. Chi ha il dubbio e la voglia di riappropiarsi della propria vita può cominciare a pensare che stiamo facendo sul serio, che forse è meglio cambiare vita».

L’operazione “Rinascita Scott” ha portato allo smantellamento delle cosche di ‘ndrangheta nella zona di Vibo. L’operazione ha rivelato connessioni tra imprese, politica e una massoneria deviata, risultando nell’arresto di 334 persone e nell’indagine su altre 416. Successivamente, il Tribunale del Riesame ha rilasciato 69 persone, rimuovendo la custodia cautelare ma mantenendo le indagini su di loro.

Il processo con rito abbreviato si concluse con 70 condanne e 20 assoluzioni.  Oggi, dopo due anni e 10 mesi di udienze, nell’aula bunker appositamente costruita a Lamezia Terme, è il giorno della sentenza.