Almeno 18 arresti, una sessantina di indagati e sequestri per oltre 130 milioni di euro: è il bilancio di una maxi-operazione della Dia contro la criminalità organizzata condotta da oltre 500 operatori su tutto il territorio nazionale. Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, è stata data esecuzione all’ordinanza che dispone misure cautelari nei confronti di 18 persone. Farebbero parte di due associazioni che operavano a Roma con metodi mafiosi. A loro carico ci sono estorsioni, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche di proventi illeciti.
I reati sono aggravati dall’aver agevolato i clan di camorra Mazzarella- D’Amico, le cosche della ‘ndrangheta Mancuso e Mazzaferro e il clan Senese. Più in particolare, nel corso della attività di indagine, avviata nel marzo 2018 dalla Direzione Investigativa Antimafia – Centro operativo di Roma con il coordinamento della Dda della Procura di Roma, sono stati raccolti elementi gravemente indiziari in ordine alla esistenza di una vera e propria centrale di riciclaggio, operante in Roma e con interessi in tutto il territorio nazionale, che si è avvalsa della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento derivante sia dagli stretti legami con le organizzazioni criminali mafiose tradizionali che per l’immediata disponibilità di armi da guerra e comuni da sparo.
Unitamente alle misure cautelari personali il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto il sequestro preventivo di 3 società e per equivalente fino alla concorrenza della somma complessiva di euro oltre 131 milioni di euro profitto dei reati, nei confronti di 57 indagati, per i quali vige il principio di presunzione di innocenza, da eseguirsi sui beni nella disponibilità degli stessi.

I NOMI

Gravemente indiziati di essere al vertice della prima associazione – sulla quale si è focalizzata fin dall’inizio l’attività investigativa – sono Antonio Nicoletti, figlio di Enrico Nicoletti, e Pasquale Lombardi, insieme a persone ritenute ai vertici della criminalità organizzata campana come Salvatore D’Amico e il figlio Umberto, e Umberto Luongo. Dalle risultanze emergono gravi indizi della creazione, avvalendosi della partecipazione di numerose persone appartenenti agli ambienti della criminalità autoctona romana e di matrice camorristica, di una complessa rete di società “cartiere” intestate a prestanome attraverso le quali riciclare ingentissime somme di denaro proveniente dai clan campani. In tale contesto è emerso, sempre in termini di gravità indiziaria, la figura del produttore cinematografico Daniele Muscariello nella veste di fiduciario degli stessi clan e del manager musicale Angelo Calculli.

La prosecuzione delle indagini ha documentato inoltre una convergenza di interessi di mafie storiche e nuove mafie, segnatamente del clan D’Amico-Mazzarella, delle cosche calabresi dei Mancuso e Mazzaferro e della famiglia Senese nel settore del commercio illecito degli idrocarburi, raccogliendo gravi indizi circa l’esistenza di un’altra autonoma associazione criminale, collegata alla prima, operante sulla capitale e ramificata in altre regioni del Paese.

Gravemente indiziati quali capi e promotori sono Vincenzo Senese, figlio di Michele, Roberto Macori e Salvatore D’Amico. Le indagini facevano emergere gravi indizi in ordine all’esistenza di una complessa struttura organizzata che attraverso numerose società cartiere, finanziate dai citati clan campani e calabresi, avrebbe acquisito il controllo di depositi fiscali di idrocarburi, funzionali alla realizzazione delle attività di riciclaggio.

In termini di gravità indiziaria, contestualmente ai reati di natura economico-finanziaria, circostanziati anche dalle attività di accertamento fiscale delegate al Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Roma, i componenti delle due organizzazioni sono risultati anche dediti alla commissione di una serie di delitti in qualche modo strumentali ai primi (delitti di estorsione e usura) tanto per regolare partite di dare e avere tra loro o con terzi quanto per legare a sé gli imprenditori indispensabili per alimentare l’illecito profitto. In tale ambito, emergeva la riserva di violenza delle due associazioni, sia per la forza di intimidazione derivante dagli stretti legami con le organizzazioni criminali mafiose che per l’immediata disponibilità di armi da guerra e comuni da sparo.