«Purtroppo le carceri in Italia continuano a generare morte, violenza e sofferenza e non è possibile restare inermi». Gennarino De Fazio, calabrese, di Lamezia Terme, 53 anni, segretario generale della UilpaPolizia Penitenziaria, non si dà pace per i decessi in carcere e da anni si batte per riforme che reputa necessarie. Con lui abbiamo fatto il punto su un dramma nazionale che, però, presenta sfumature differenti in Calabria. Dove dietro le sbarre vigerebbe una sorta di “tranquillità apparente”.
Il caso di Donatela Hodo ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione nelle carceri italiane che a quanto pare sarebbe più critica rispetto al periodo della pandemia. Che situazione abbiamo a livello nazionale e soprattutto in Calabria?
«Oggi il sistema penitenziario non assolve allo scopo che ne giustifica l’esistenza e che è delineato dall’art. 27 della Costituzione. Piuttosto, le carceri le definirei “discariche” sociali in cui lo Stato, o chi lo rappresenta, rinchiude coloro che hanno infranto la legge, salvo violarla sistematicamente – esso stesso – sia nei confronti dei detenuti, sia di coloro che pone a difesa di quella legge, ossia gli agenti della Polizia penitenziaria. Sovraffollamento detentivo, inadeguatezza degli organici del personale, strutture fatiscenti, carenza di mezzi ed equipaggiamenti e disorganizzazione ancestrale caratterizzano, seppur con diversa incidenza, pressoché tutte le carceri. In Calabria la situazione non è dissimile, sebbene il sovraffollamento, con 2.759 detenuti a fronte di 2.704 posti disponibili (100,27%), sia mediamente meno grave che nel resto del Paese (108%), considerato che bisogna distinguere per singolo istituto e sezione carceraria, altrimenti si finisce per fare come con il pollo di Trilussa».

In Calabria possiamo parlare di una “situazione controllata”, dove il fenomeno dei suicidi è più contenuto e sembra che incida in maniera minore rispetto a quanto avviene nel resto del Paese?
«Sì e potrebbe essere legato a una serie di circostanze, a cominciare proprio da un sovraffollamento meno accentuato, ma anche dalla tipologia dei detenuti. Così come potrebbe pesare la presenza di organizzazioni criminali radicate, come la ’ndrangheta, che cercano di “controllare” qualsiasi attività sociale e che quindi potrebbero svolgere indirettamente un ruolo su questo come su altri fenomeni. Ma guai a pensare che si tratti di un aspetto positivo».

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