«Il caporalato ha assunto profili di gravità assolutamente straordinaria, anche per le implicazioni che lo legano ai fenomeni migratori e all’attività della criminalità organizzata. Per tale motivo serve una risposta eccezionale e mirata. Fermo restando il riconoscimento dell’impegno e dello sforzo che le istituzioni quotidianamente assicurano al contrasto di questa autentica piaga sociale, la Cisal ritiene maturo il momento per introdurre un inasprimento della legislazione sanzionatoria contro lo sfruttamento del lavoro in agricoltura». Lo afferma, in una dichiarazione, il segretario generale della Cisal, Francesco Cavallaro secondo cui “in primis servono nuove e più stringenti norme finalizzate al sequestro delle aziende agricole, con inibitorie perpetue a carico dei titolari».
«Come secondo punto – aggiunge Cavallaro – si propone di equiparare, ai fini delle pene applicate, il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro» alla “riduzione o mantenimento in schiavitù», quando, in caso di incidente, il datore di lavoro ometta di prestare soccorso al lavoratore e di avvertire le autorità, così come tragicamente accaduto di recente a Latina. Se un datore, oltre a sfruttare i propri sottoposti, dimostri una tale indifferenza rispetto alla loro salute e incolumità, da omettere, in caso di incidente, di prestare soccorso o avvertire le autorità, considerandoli alla stregua di ‘cosè e negando loro la dignità personale, ebbene, in tale circostanza, ferma restando l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, aumentate fino al triplo, e delle eventuali aggravanti specifiche previste dall’art. 603 bis cp, nonché del concorso materiale di reati, la pena edittale dovrebbe esser pari a quella prevista per il reato di riduzione in schiavitù. Auspichiamo una modifica dell’art.603 bis cp, da coordinare con le previsioni degli art. 600 cp e 601 cp. che si muova in questa direzione. Tali sfruttatori dovrebbero essere inoltre inibiti a vita da ogni attività di natura imprenditoriale».