Rischia di diventare un paradosso la situazione italiana, una realtà statuale unitaria ma divisa al proprio interno a causa di disparità regionali che – si teme – potrebbero permanere o aggravarsi una volta approvata la legge sull’autonomia differenziata. Stavolta, però, ad affermarlo non sono forze sociali e politiche calabresi o di altre realtà del Mezzogiorno. È la Commissione europea nell’ultimo “Country Report” a sostenere che «senza risorse aggiuntive, potrebbe risultare difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la mancanza di un meccanismo perequativo». Per Bruxelles la riforma Calderoli rischia di avere impatti negativi «sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulle disparità regionali».

Se per il vicepremier Matteo Salvini «non sanno di cosa stanno parlando. I paesi che funzionano meglio sono quelli che scommettono sugli enti locali, si pensi a Germania e Svizzera», di diverso avviso appare la Svimez che nei giorni scorsi ha svolto un’audizione al Senato. Il presidente Luca Bianchi ha ripreso proprio la tesi della Commissione europea scendendo poi nel dettaglio di un’analisi sulle potenziali sperequazioni.

Il ddl in discussione al Parlamento va nella direzione di «un’attuazione “integrale” delle proposte di autonomia: la possibilità di chiedere il decentramento di tutte le materie previste, compresa l’istruzione, senza individuare puntuali criteri d’accesso; l’inemendabilità delle intese da parte del Parlamento delle intese Stato-Regione; il finanziamento delle nuove competenze regionali extra-Lep sulla base della spesa storica; la previsione di una definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni entro 12 mesi ma a invarianza di spesa». Tutto questo in un contesto economico e sociale, riferisce Bianchi, aggravato dalla pandemia e dagli effetti del conflitto russo-ucraino. Crisi globali che richiedono risposte congiunte e non frammentate, chiarisce il presidente Svimez per il quale «l’autonomia differenziata delineata dal Governo espone il Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche».

E per la Calabria come per l’intero Mezzogiorno «si aggiungono i rischi di “congelamento” dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese a rimuovere i divari infrastrutturali e di offerta dei servizi».

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