Non solo estorsioni, narcotraffico e spaccio di droga. Perché la cosca Corigliano-Comito di Rocca di Neto deteneva anche armi da fuoco utilizzate come «strumento per accrescere» una forza «offensiva» per creare timore nelle potenziali vittime.

Lo ha accertato la Dda di Catanzaro con l’operazione che ha portato all’esecuzione di 18 fermi da parte dei poliziotti della Squadra mobile di Crotone, affiancati dai colleghi dell’Fbi, nei confronti dei vertici e fiancheggiatori del presunto gruppo criminale rocchisano capace di estendere i “tentacoli” fino agli Stati Uniti. «Non parlare a questo telefono che vanno prima loro e poi noi arriviamo a casa! E tu la lasci là la cosa, nella jeep tu?»: così il 18 luglio 2021 la moglie di Pietro Marangolo, finito in carcere, si lamentava col marito per aver lasciato la pistola in auto nonostante la presenza del figlio. Un’ipotesi, questa, che trovò riscontro cinque mesi dopo quando gli agenti della Mobile sequestrarono delle armi che sarebbero state nascoste in un campo dallo stesso Marangolo: due fucili e decine di proiettili. E così, in un dialogo captato dagli investigatori, Pietro Corigliano, ritenuto il capo della ‘ndrina di Rocca di Neto, chiese a Marangolo «se qualcuno (del clan) – scrivono i pm Paolo Sirleo e Domenico Guarascio nel decreto di fermo – avesse preso il fucile di sera», in quanto «erano almeno cinque anni» che Marangolo «utilizzava quel punto e che nessuno se ne sarebbe mai accorto». «È una cosa troppo strana», commentava infatti Marangolo riferendosi alle armi smarrite.

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