“Dopo aver perso mia moglie per malattia e poi mio padre, è rimasta solo lei come presenza affettiva, è anziana e ha una sclerosi sistemica. Cosa devo fare, portarla all’ospizio per andare in trasferta a Pomigliano?”.

Inizia così la telefonata fiume con Gianni, operaio della provincia di Bari che lavora alla Stellantis di Melfi. Vive in angoscia da fine settembre, da quando cioè anche a lui è giunta la famosa chiamata alla trasferta. “Per me che ho la 104 e mi è rimasta solo mamma, questa sarebbe davvero una deportazione”. E poi entra nei dettagli. “Quando mi è arrivata la convocazione per Pomigliano ero già in malattia perché non sto bene già da anni e si sono aggravati alcuni problemi che sto curando, ma quando finirà questa malattia non sarò affatto disposto a partite. A norma di legge necessito di una tutela. Non mi si può lasciare così, con le spalle al muro”.

Prova a immaginare quale sarebbe la sua giornata da trasfertista. “Abito in provincia di Bari, dovrei partire con la mia auto alle 2 di notte per raggiungere in un’ora San Nicola di Melfi. Poi fare altre due ore di viaggio con la navetta fino a Pomigliano: almeno 14 ore fuori casa. E come faccio con mia madre, la lascio sola?”. La situazione in famiglia “non ci consente di assumere una badante. Alcune volte, quando può, mi aiuta mia cugina, ma se andassi in trasferta non so come farei, solo il pensiero di abbandonarla, senza cure, mi fa star male. Non posso neanche pensarci. E’ rimasta solo lei, l’unica presenza affettiva oltre a mio figlio”.

Gianni ha chiarito senza peli sula lingua le sue problematiche. “Il responsabile per le trasferte non mi ha neanche risposto al telefono, ho dato mandato al sindacato di tutelarmi. E in questo caso pretendo che lo faccia con azioni concrete. La legge 104, art.3, comma 3, non ammette ignoranza. E’ una situazione particolare. Non mi fermerò, sarei disposto anche ad incatenarmi ai cancelli di Melfi”. E’ un fiume in piena Gianni. Gli arriva un’altra telefonata e ci deve lasciare. Vorrebbe parlare all’infinito, sfogarsi ancora, ma ci congede con una promessa: “Non mollerò questa battaglia, loro fanno di tutto per costringerci licenziarci, ma dobbiamo difenderci. Siamo esseri umani, non ‘deportati’ in trasferta ‘obbligatoria’. Anche dal sindacato mi aspettavo di più. Mi ha deluso”.