Riprende la narrazione mitologica sui capi mafia. Adesso tocca a Messina Denaro, con la sua “cultura, i libri, le auto, la difesa dell’amico, il buon gusto, la gentilezza, la signorilità.” Dai giornaloni ai giornalini, tutti accatastati nel gossip del mafioso. È dai tempi di Totò Riina che non si vedeva tanta pubblicistica maliosa, gossippara, pornografica sulla vita di un boss. Un danno educativo immenso, spacciato per diritto di cronaca, ma con l’evidente scopo dell’acchiappa click. Messina Denaro oltre ad essere un mafioso è un assassino senza eguali, un sanguinario al vertice della storia del crimine. E quindi c’è niente da raccontare, se non che è un mafioso assassino. Intanto aspettiamo il film, o la fiction, su Matteo, per scoprire l’eroe mafioso gentile, colto, amante del lusso. Chissà che non faccia proseliti tra ragazzi in cerca di una svolta nella loro vita di emarginati di periferia. Ci aspettiamo il solito cretino che scrive e canta canzoni sulla spericolata vita di Matteo. Questo è un Paese che dimentica e ricorda con l’ipocrisia del buffone di corte costretto ad esibirsi per compiacere il signore.

Detto questo, andiamo al dunque. Messina Denaro ha traslocato la Mafia, le mafie, nell’epoca nuova. Quella in cui la criminalità non appare più criminale, quella in cui la mafia non è mafia. Ha organizzato e promosso, insieme agli emergenti che hanno studiato nelle università più prestigiose, la nuova classe dirigente e criminale di rango alto borghese. Politici, manager, imprenditori, banchieri, funzionari, magistrati… di tutto rispetto e di tutto successo. Oppure ha dovuto soccombere a chi, della sua mafia, dei sui segreti, della vecchia ruggine politica dei vetusti tempi, se ne è fottuto. Prendendo altre strade.  La Mafia, grazie a lui è scomparsa. La Mafia è morta perciò è viva. Perché solo i morti possono resuscitare e i vivi possono solo trasformarsi. In questi anni, nel silenzio delle “antiche lupare”, nella quiete delle bombe, un sistema criminale sofisticatissimo si è radicato nel Paese e in Europa, mentre le forze di contrasto alle vecchie mafie agiscono ancora con strumenti arcaici e inutili.

Oggi la criminalità è organizzata con strumenti sofisticati di corruzione, evasione, infiltrazione “pulite” nelle istituzioni, nell’economia, nella finanza, nelle istituzioni, nei media. Con metodi diversi dal passato. Usa la seduzione in luogo dell’intimidazione, fa proposte di convenienza in luogo delle minacce, agisce col potere del denaro in luogo del potere della violenza, anche se l’arma del ricatto è sempre dietro l’angolo. Diventa, così, sempre più inafferrabile quanto più si fa liquida, invasiva con forme nuove, legale e perfino filantropica. L’ho già scritto, prima che si aprisse la caciara dopo l’arresto di Messina Denaro.

In Basilicata per certi aspetti questa Mafia (‘ndrangheta e camorra, comprese) è sempre esistita, prima che altrove. La non mafia qui è talmente invisibile, impercepibile, che inganna chiunque. Collabora con le vecchie mafie, ma è la non mafia che comanda sul serio. Collabora con chi appare, ma chi non appare comanda davvero. Persone apparentemente per bene che frequentano la sfera pubblica, la vita sociale, osannate, premiate, rispettate, invidiate, imitate e che non sono affatto per bene. I nomi? Tempo al tempo. Il dramma è un altro. In questa regione c’è chi sa e fa finta di niente; c’è chi non sa e si lascia ingannare. Ci sta. Gente che non sa di piani regolatori in edilizia, di parchi eolici, di appalti, di banche, di Fondazioni, di carriere fulminanti, di arricchimenti magici. Ma il pericolo è in quelle persone che, seppure informate e allertate, continuano a frequentare, accogliere, premiare, osannare certi personaggi. Si brinda con imprenditori, politici, giornalisti, editori, dirigenti, funzionari di dubbia trasparenza per un solo motivo: la convenienza o presunta convenienza. Gente che usa e si fa usare in uno scambio patologico dentro la fascinazione dei soldi e del potere. E’ così in tutto il Paese, ma in Basilicata siamo stati precursori.