La Basilicata negli ultimi 42 anni ha visto ridursi la popolazione residente dai 610.186 abitanti agli attuali 537.000. In 42 anni circa 70.000 persone, per effetto del combinato disposto più morti meno nascite e flussi migratori, sono venuti meno. Il 2022 si chiuderà con circa 7 mila decessi e 3500 nuovi nati oltre quota di emigrazione. Eppure nei primi vent’anni dopo il sisma il sistema ha retto bene. Il terremoto demografico inizia alla fine degli anni novanta. Di questo passo, senza interventi mirati e programmati, la Basilicata rischia l’estinzione nel giro di qualche decennio come accadrà all’intero Paese con la perdida di oltre 12 milioni di abitanti, 6,5 milioni nel Sud. L’Istat prevede la perdita del 40%della popolazione lucana nello stesso periodo.

In Basilicata dopo il 1980 sono stati investiti dallo Stato oltre 3500 milioni, di cui 3000 per la ricostruzione e infrastrutture e circa 500 per il finanziamento delle aziende industriali. Nel contempo sono state recuperate con la escussione delle fideiusioni oltre 125 milioni che sono tornati nelle casse dello Stato per inadempienze, e truffe sanzionate, a seguito del recupero del maltolto e degli esiti del lavoro della Commissione di inchiesta Scalfaro

L’attuale occupazione nelle aree terremotate lucane è di 1.900 lavoratori diretti, con leggero aumento, e circa 1400 indiretti, contro una previsione di 6000, di posti di lavoro finanziati con contributi pari al 120% delle spese ipotizzate.

Delle 107 aziende finanziate ne rimangono una cinquantina in attività risultate migliori rispetto agli investimenti della legge 488 che ha avuto una resa occupazionale pari al 20% del previsto.
Ricordiamo che alcune aziende, tra quelle fallite o che non hanno mai aperto (circa 30) sono state riassegnate, oppure occupate abusivamente o cedute in fitto dai curatori fallimentari, con scarse attività produttive o occupazionali. Alcune aziende del Melfese sono ora utilizzate dalla FCA per deposito delle automobili.

Al momento circa 100 capannoni, o strutture similari, di cui una ventina finanziati da Legge 219/81 ed i restanti con le leggi 488/92 e 64/74, sono inutilizzate, preda dei ladri di rame e di impiantistica, almeno due sono state utilizzate da organizzazioni criminali per stoccare rifiuti ed ocoballe.

Ricordiamo i casi di Abl di Balvano, 17.000 mq, oppure della ex Ets di Tito, che occupava 250 lavoratori, ora qualche decina, la Sinoro mai entrata in produzione con tre fallimenti dietro le spalle, quattro cambi di ragione sociale, due condanne per truffa e bancarotta. In questa azienda ci sono ancora i macchinari imballati e mai utilizzati in attesa di essere ricollocati nel sistema produttivo. Nessuno interviene per il riutilizzo.

Molte aziende sono da anni in gestione fallimentare o sono state svuotate degli impianti che sono tornati alle aziende produttrici in Italia o vendute all’estero: Standartela, Ets, Etm, Abl. Gli impianti Parmalat sono da tempo utilizzati in Veneto dalla Vincezi dopo la chiusura dello stabilimento di Atella e la successiva truffa di reindustrializzazione che ha determinato la disoccupazione di 120 lavoratori.
Si tratta di un enorme patrimonio di immobili e infrastrutture di un valore stimabile attorno ai 200 milioni.
Anche la riassegnazione di suoli e strutture è fallita assieme ai bandi di reindustrializzazione. L’ultima legge approvata per la liquidazione dell’Asi e la costituzione di Api-Bas è completamente disapplicata. Nemmeno uno stabilimento è stato recuperato con le nuove norme Api-Bas che non ha nemmeno preso in carico i siti e le strutture. Alcune delle aziende finanziate con i fondi del post terremoto, come la Ferrero, la Barilla e altre mantengono alti livelli di occupazione di produzione. La proposta di riutilizzo dei capannoni del dopo sisma e del successivo trentennio, rimane di assoluta attualità  anche in relazione alla ristrutturazione degli apparati produttivi e del rientro di talune produzioni dall’estero nel nostro Paese. Occorre elaborare un progetto che ridia senso alla programmazione industriale e alla gestione delle aree.

La situazione economica attuale determina, soprattutto nelle aree interne dell’arco appenninico, che corrispondono in parte alle aree terremotate, una gravissima crisi demografica che, se non affrontata, diventerà la causa prima dell’impossibilità di risolvere la questione della creazione del reddito, dell’occupazione e del mantenimento dei servizi.

Mentre nelle altre aree italiane, in particolare del centro-nord, la caduta demografica, la mobilità sono compensate dai flussi migratori in entrata, anche con il contributo di una quota di giovani provenienti dal Mezzogiorno, nelle zone interne i flussi migratori dall’estero sono di passaggio e sostanzialmente legati per un terzo ai lavori di cura degli assistenti domestici.

In Basilicata, su 44.000 lavoratori migranti occupati nel 2021 nei diversi comparti, la quota delle assistenti domiciliari corrisponde quasi al 40% del totale di forza lavoro.

Tale situazione reclama con forza un piano di ripopolamento, anche per riutilizzare le case sfitte dei centri storici dei piccoli comuni, in particolare quelli ricostruiti bene con i fondi della legge 219. Occorrebbe creare un una agenzia di scopo che gestisca questo intervento non più rinviabile abbandonando la strada sterile della lamentazione fine a se stessa.

La centralizzazione dell’intervento, attraverso la mano pubblica, le associazioni e le parti sociali diventa essenziale per l’attuazione di un tale progetto che dovrebbe anche provvedere alla formazione professionale e misure per il riutilizzo e la manutenzione delle case sfitte.

In Basilicata ci sono lavoratori espulsi del sistema produttivo, attualmente in cassa integrazione oppure percettori del reddito di inserimento. Circa 6.000 lavoratori utilizzano i fondi regionali e quelli del petrolio per le attività di forestazione e manutenzione ambientale, oltre i lavoratori del reddito di cittadinanza del tutto inutilizzati.  Solo in questi segmenti abbiamo quindi oltre 8000 lavoratori che, a fronte di una proposta di riuso dei siti manifatturieri inutilizzati, una diversa ed efficace manutenzione e la salvaguardia ambientale, le attività di ricerca e di sviluppo, la qualificazione del sistema formativo e scolastico possono, insieme ai disoccupati, ai neolaureati e ai diplomati, ai migranti, diventare il motore per sostenere una piattaforma programmatica per un modello di sviluppo diverso.

Il quadro di riferimento finanziario è  di circa 15 miliardi anno con solo bilancio pubblico allargato oltre al Pnrr. Le risorse ci sono e sono tante. Il punto è la buona spesa. L’architrave di un simile progetto, che ha bisogno del piano di ripopolamento, si fonda sui cicli agro-alimentari e turistici, su quello manifatturiero, dell’energia e della tutela del territorio. L’industria pulita dei polimeri solidi e liquidi, che sostiene l’industria estera e quella italiana nella componentistica auto, nel ciclo della plastica, nella sanità e nella farmaceutica, è una prospettiva importante. Strategica può essere la ricerca e l’utilizzo dell’idrogeno. Un vero e proprio distretto per la lavorazione dei polimeri e delle nuove energie. L’utilizzo dei polimeri nelle nostre aree potrebbe cambiare il paesaggio produttivo e occupazionale trattandosi di attività non inquinanti per rifornire i distretti industriali che utilizzano i prodotti realizzati in Basilicata che diventerebbe un polo molto importante per la verticalizzazione della produzione.

Un ruolo particolare potrebbe svolgere la riconversione del sistema formativo e scolastico, non solo sul piano occupazionale, ma anche la riforma della pubblica amministrazione, della gestione delle aree di disagio e delle povertà, l’innovazione nell’organizzazione del lavoro. La rivendicazione di opere pubbliche faraoniche, di assi stradali frequentati da pochi, di aree artigianali senza artigiani, di aeroporti senza aerei e così via, dovrebbe lasciare il passo all’aggregazione dei servizi comunali e alla loro gestione.
E’ necessario a 42 anni dal sisma riutilizzare anche le risorse del passato, valutare i risultati positivi e negativi. Pietro Simonetti Centro studi e ricerche economico-sociali