L’AQUILA. Il dolore è ancora grande. E ieri in tanti hanno ricordato l’amico Fabrizio Scarsella, in occasione dell’ottavario celebrato nella chiesa delle Anime Sante. Il figlio Alessio ha voluto pubblicare su Facebook il discorso letto durante il funerale, martedì scorso: «Lo scrivo qui perché ho saputo che in molti non sono riusciti a sentirlo e quindi vorrei che tutti sapessero quello che era papà per me». Fabrizio Scarsella, amatissimo docente di educazione fisica e allenatore di calcio, dopo aver vestito in gioventù i colori dell’Aquila, è morto a 65 anni a causa di una grave malattia e una folla straripante lo ha salutato nella basilica di Collemaggio. I tre figli, Alessio, Marco e Chiara, hanno perso nel 2016 anche la mamma, Maria Celestina Di Stefano: «Ho cercato, cerco e cercherò di essere un centesimo di quello che lui è stato», scrive Alessio, «perché è il mio punto di rifermento per tutto. Speravo che questo momento non sarebbe arrivato mai, ma alla fine la vita ti sbatte le cose in faccia che tu voglia o meno. Chi era papà, anzi Schultz. Per ognuno di voi ha rappresentato qualcosa di diverso, per me era tutto, dall’amico, al compagno di calcio, all’insegnante di vita, ma soprattutto era papà. Tutte le cose che cercavo in una persona le avevo trovate in lui, non c’era niente che lui non sapesse di me». In un passaggio parla della sofferenza del padre: «La sua vita è stata segnata da tanto dolore, ha perso la mamma a 10 anni e il papà mentre lui stava giocando a pallone, da tutto ciò però si è sempre rialzato. Quando mi vedeva triste mi diceva: “hai 24 anni alzati e mangiati la vita a mozzichi, non puoi piangerti addosso”. Nessuno gli ha regalato niente. Ha combattuto insieme a mamma, ma alla fine il destino gli ha strappato pure lei. Dopo non rideva quasi mai e aveva sempre mille pensieri in testa, per primo noi figli». Poi l’ultimo incontro in ospedale, che Alessio rivela perché tutti gli dicano addio col sorriso: «Giovedì sono andato a trovarlo per l’ultima volta e mentre me ne stavo andando mi dice: “mi raccomando con la macchina, vai piano e chiama quando arrivi”. Io gli rispondo sfacciatamente: certo vado a 130-140 sulla superstrada e a 170 in autostrada”. Allora lui con la faccia seria mi guarda e mi dice: “Non fa lo stupido eh!” Io sorrido e gli dico: tranquillo, sono stupido ma fino a un certo punto”. Allora con il sorriso sulle labbra mi dice: “il problema è che non si sa dov’è messo sto punto”. Ci siamo fatti una risata, l’ho abbracciato e sono andato via contento di aver rivisto lo Schultz che conoscevo».
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