PESCARA. «Questa sentenza dice che nessuno è al sicuro». È sconsolato e indignato Gianluca Tanda, presidente del Comitato vittime di Rigopiano: «Ho perso ogni speranza, ero sicuro delle condanne degli imputati», dice Tanda. Quel 18 gennaio del 2017, ha perso il giovane fratello Marco, pilota di aereo di 25 anni. Marco era nel resort insieme alla fidanzata Jessica.
In mezzo alla folla del tribunale, dopo la rabbia esplosa nell’aula 1, Tanda cerca di defilarsi: si aggrappa a una colonna con lo sguardo nel vuoto. Poi, si fa forza e dice: «Dobbiamo fare di tutto per ribaltare questa sentenza, lo dobbiamo fare perché è una sentenza ingiusta non solo per noi parenti ma per tutta l’Italia». Ci vorrà tempo e ci vorranno altri sacrifici. «È una sentenza ingiusta», dice Tanda, «e lo è anche per il giudice: anche i suoi figli, un giorno, potrebbero percorrere strade senza manutenzione come quella di Rigopiano». Se quella strada fosse stata liberata dalla neve, gli ospiti e i dipendenti dell’hotel, dopo le scosse di terremoto della mattina del 18 gennaio, se ne sarebbero andati. Ecco perché Tanda, dai 29 morti intrappolati nel resort simbolo del turismo montano abruzzese, allarga il tiro e pensa alle stragi d’Italia: «Questa sentenza significa che le tragedie non ci hanno insegnato niente, dalla strage del Vajont fino al ponte Morandi di Genova e senza dimenticare il crollo della scuola a San Giuliano di Puglia in cui morirono tanti bambini. Questa sentenza adesso farà giurisprudenza e chiunque», sottolinea Tanda, «può far danni in Italia perché rimarrà sempre impunito. Questo dobbiamo ricordarcelo tutti», avverte il portavoce del Comitato vittime, «quel “Mai più” che abbiamo scritto lassù non lo abbiamo scritto solo per noi. Ora se siamo contenti così», dice Tanda con la voce rotta dall’emozione, «questo è quello che lasceremo ai nostri ragazzi».
«Io piango con i parenti delle vittime», sottolinea l’avvocato Romolo Reboa, che assiste i familiari di Tanda, Jessica Tinari, Valentina Cicioni e Cecilia Martella.