TERAMO. I tempi della giustizia non sono mai quella della vita reale. A cinque anni dagli arresti e a quasi due dall’avvio del processo davanti alla Corte d’assise di Teramo che in apertura di dibattimento aveva inviato gli atti a quella di Macerata accogliendo l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalle difese, è un decreto d’archiviazione a chiudere il caso del presunto riciclaggio in Nigeria dei soldi provento della tratta di giovani donne fatte prostituire tra Abruzzo e Marche.
L’archiviazione, chiesta dal pm della Procura distrettuale di Ancona Paolo Gubinelli e accolta dal giudice Carlo Masini, riguarda 17 cittadini nigeriani accusati di reati che vanno dalla tratta al riciclaggio finalizzato alla transazione internazionale monetaria fino all’associazione a delinquere. Secondo l’inchiesta della Procura distrettuale dell’Aquila si sarebbe trattato di una organizzazione criminale con un voluminoso giro d’affari: quello con cui i corrieri nigeriani portavano in patria i soldi provento di spaccio e sfruttamento della prostituzione. Somme che, sempre secondo l’accusa, andavano da 70mila a 10mila euro in contanti con le banconote nascoste nelle suole delle scarpe nelle cinture per superare i controlli negli aeroporti. La corposa indagine era nata da una precedente inchiesta scattata sempre nell’ambito di operazioni legate al reato di tratta: l’operazione “Pesha”, appunto dal nome dato alla cellula che da Martinsicuro era arrivata ad Ancona con, per l’accusa, un giro d’affari illeciti in diversi ambiti. Secondo le indagini gli affiliati residenti a Martinsicuro avevano vari interessi. Se lo spaccio di droga, più fiorente in altri territori, era un’attività residuale, i nigeriani che operavano nella parte nord della provincia avrebbero gestito un vasto giro di prostituzione. Un impianto accusatorio, quello della Procura aquilana, che evidentemente non ha retto. Le motivazioni diranno il perché.
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