GUARDIAGRELE. Zero parole ma centomila pensieri. Sulla sparizione di Benito Della Penna, 83 anni all’epoca, avvenuta giusto sei anni fa, ormai non parla più nessuno. Nemmeno la figlia Rosanna, in questo nuovo e drammatico anniversario, se la sente di commentare quella che resterà la pagina più triste della vita di una figlia. «Vi ringrazio per quanto avete fatto finora», dice al telefono al Centro, «però tutto è sempre fermo: su questa vicenda siamo soli ed è calato il buio più totale». Fine della telefonata. Qualche mese fa c’è stata una sentenza del tribunale di Chieti che ha dichiarato l’“assenza” di Benito: pubblicata sulla Gazzetta ufficiale e su alcuni quotidiani, quel provvedimento sta a significare che dopo due anni dalla scomparsa di una persona, alcuni soggetti, a cominciare dagli eredi, sono legittimati ad avere un cosiddetto “interesse qualificato” sui beni dello scomparso. La prassi è prassi, certo, va rispettata, ma al di là di tutto c’è il mistero su un anziano che nel pomeriggio del 15 marzo 2017 uscì di casa per sgranchirsi le gambe e che a casa non è più tornato. È sparito nel nulla: non una testimonianza su quanto possa essere accaduto, non una traccia che abbia aiutato i ricercatori ad avere un indizio su dove possa essere finito Benito.
L’anziano, claudicante, si trovava nei paraggi di casa sua, in contrada Piana San Bartolomeo, vicino all’incrocio delle strada statale per Casoli con la provinciale per Orsogna e Lanciano. Operato anni prima a una gamba per l’impianto di una protesi, da poco era in cura anche da a un cardiologo dopo l’angioplastica: aveva i piedi gonfi e gli era stato consigliato di muoversi, ma in quelle condizioni non sarebbe stato in grado di percorrere da solo chissà quanta strada. Da qui l’ipotesi che da quella zona non possa essersi allontanato, anche verso il “Muro” di Guardiagrele, dove la strada che porta al centro storico s’inerpica con il 28% di pendenza, perché i cani molecolari all’epoca delle prime ricerche non captarono lì nessun segnale. Secondo: in anni di perlustrazioni, nella zona non è stata trovata una traccia riconducibile allo scomparso, anche del vestiario che indossava in quel triste mercoledì: un lembo del giubbotto blu, un pezzo di jeans, una parte del cappello, i resti di una scarpa, un frammento degli occhiali da vista o l’immancabile stampella azzurra in alluminio. Nulla. Questo fatto scarta anche la ventilata ipotesi che il panettiere possa essere stato investito da un’auto visto che sulle strade della zona non c’era nulla di che.
La famiglia più volte ha chiesto alla Procura di Chieti di riaprire le indagini contro ignoti con ipotesi delittuose che contemplino il sequestro di persona e l’occultamento o la sottrazione di cadavere, visto che il fascicolo istruito dai magistrati con il “modello 45”- il registro degli atti che non costituiscono una notizia reato – era stato archiviato. Niente: dopo sei anni soltanto parole a somma zero e centomila pensieri.
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