TERAMO. Quando si parla di diritti e Costituzione spesso in questo Paese le interpretazioni possono andare in direzioni opposte e lui l’aveva detto al suo avvocato che non avrebbe aspettato la nuova udienza del tribunale di sorveglianza.
Giuseppe Santoleri, 74 anni, in carcere per scontare una condanna definitiva a 18 anni per aver ucciso insieme al figlio Simone la ex moglie Renata Rapposelli, pittrice di Chieti, si è ucciso nella sua branda di Castrogno soffocandosi dopo aver stretto un pezzo di corda alla sponda del letto. L’allarme del compagno di cella non è servito a salvargli la vita a cui da qualche tempo aveva iniziato a rinunciare. Gli erano stati diagnosticati il morbo di Parkinson, demenza senile e depressione.
Il suo avvocato Federica Di Nicola, proprio sulla base delle condizioni di salute certificate da una consulenza di parte e da una relazione del carcere, aveva presentato al tribunale di sorveglianza dell’Aquila un’istanza per fargli scontare la pena in una residenza sanitaria che aveva già dato la sua disponibilità. Nell’udienza della settimana scorsa, il 6 giugno, la seconda nell’arco di qualche mese, il tribunale aquilano aveva rinviato a luglio scrivendo nel provvedimento: «Il collegio valutate le risultanze istruttorie ritiene di dover rinviare la trattazione del procedimento al fine di acquisire, tramite apposita perizia del presidio sanitario interno, una diagnosi di natura psichiatrica e/o psicologica, con particolare riferimento alla sussistenza di eventuali patologie in atto, all’assunzione o meno di terapia farmacologica, di quali farmaci si tratti, nonché rispetto alla eventuale presenza di demenza senile e in che grado e misura essa interferisca sulle capacità cognitive e mnemoniche del detenuto». Ma i tempi della giustizia non sono mai quella vita reale. Soprattutto quella in un carcere. Giuseppe Santoleri, pensionato di Giulianova, c’era entrato nel 2018 al termine di una complessa inchiesta sull’omicidio della ex moglie. Nel dicembre del 2021 i giudici d’appello avevano confermato la condanna a 27 anni per il figlio Simone (24 per l’omicidio e tre per l’occultamento di cadavere) e ridotto da 24 a 18 quella per l’ex marito (16 per l’omicidio e 2 per l’occultamento di cadavere). Una differenza tra i due che i magistrati d’Appello avevano evidentemente deciso di rendere ancora più sostanziale rispetto al pronunciamento della Corte d’assise di primo grado: Giuseppe, durante un interrogatorio reso in carcere nelle indagini preliminari, aveva sostenuto che a soffocare la ex moglie fosse stato il figlio Simone e che poi insieme si fossero disfatti del cadavere ritrovato dopo settimane sulle sponde del fiume Chienti, nelle Marche. Accusa respinta dal figlio che negli anni ha tentato il suicidio prima nel carcere di Pescara ingerendo farmaci e successivamente in quello di Viterbo dove è stato prima di essere trasferito a Rebibbia .
Per la Procura (titolare del fascicolo il sostituto procuratore Enrica Medori) il 9 ottobre del 2017 la donna venne soffocata nell’abitazione di Giulianova dai due congiunti per questioni economiche e poi portata sulle sponde del fiume. Un omicidio d’impeto con un movente economico: così, in 103 pagine di motivazioni, i giudici di primo grado hanno spiegato il perché della condanna. Secondo questi magistrati, così nelle motivazioni della sentenza, «Giuseppe aveva maturato un’esposizione debitoria nei confronti della moglie e non aveva alcuna intenzione di adempiere. Simone aveva da tempo manifestato la volontà di far desistere la madre dal perseguimento delle somme dovute al marito a titolo di arretrati». Il pm di turno Davide Rosati non ha disposto l’autopsia. Tutto il resto è la cronaca annunciata di un altro suicidio a Castrogno.
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