SULMONA. Per cinque anni ha portato avanti la sua battaglia giudiziaria ritenendo di essere stata diffamata da quella telefonata fatta nel retrobottega di un locale, in maniera del tutto privata, dall’ex sindaco Bruno Di Masci in cui veniva pesantemente offesa. Una telefonata registrata all’insaputa di chi stava parlando, diffusa su Whatsapp e poi finita nelle mani dell’esponente della Lega Roberta Salvati, all’epoca dei fatti consigliera comunale.
L’altro giorno la sentenza del giudice di assoluzione nei confronti di Bruno Di Masci, al termine del procedimento giudiziario partito proprio dalla denuncia della Salvati che ora non accetta il verdetto. «Ritengo che l’impegno politico non dovrebbe mai giustificare l’uso di un linguaggio offensivo nei confronti dell’avversario, indipendentemente dal genere di appartenenza», va giù duro l’esponente della Lega. «L’uso di parole offensive e denigranti non ha nulla a che fare con la politica, costituendo, per contro, un vile tentativo di ledere l’onorabilità e la dignità di un individuo».
Di Masci si è sempre difeso dicendo di aver dato della “z……” politica alla ex consigliera comunale per il suo continuo cambio di partiti. «Sarà interessante comprendere se il giudice di pace farà proprio l’assunto di Di Masci, considerato che è agli atti del processo la prova che la sottoscritta, all’epoca delle offese, non aveva attuato alcun passaggio politico, cosa che, in ogni caso, avrebbe potuto, al più, giustificare l’appellativo di “voltagabbana”, ma non certo quello di “z……” che evidentemente evoca ben altre attitudini personali e non ha nulla a che fare con la politica, nulla. Lo sconcerto per la pronuncia resa si accresce se si considera che proviene da un giudice donna. Invero, se da una parte le donne proseguono storiche lotte sociali per l’affermazione – ad ogni livello- dei princìpi di parità ed uguaglianza, è ormai dilagante il fenomeno della violenza di genere, tanto da imporre al legislatore la previsione di leggi sempre più severe e tutele più stringenti. E non è forse violenza verbale riferirsi a una donna con simili espressioni? Come può la comunità politica sulmonese accettare di essere svilita fino a questo punto? Cosa ci dice questa sentenza? Ci dice che una donna impegnata in politica, da oggi, potrà essere insultata con termini sessisti e denigratori senza conseguenze, il che è grottesco, oltreché inaccettabile». «Continuerò la mia battaglia nelle sedi opportune», conclude Salvati, «perché questo verdetto inaccettabile rappresenta un ulteriore affronto non solo alla mia onorabilità, di donna e madre, ma anche all’onorabilità di tante altre donne in qualsiasi ruolo e posizione sociale». A sostenere l’ex consigliera comunale è il segretario regionale, della Lega Luigi D’Eramo: «Il confronto politico non deve mai prescindere dal rispetto reciproco, al di là della diversità di vedute. Che un giudice, peraltro donna, definisca un epiteto che ha una chiara connotazione come una metafora riferita alla sfera politica ci lascia quantomeno perplessi». Dal canto suo l’ex sindaco Di Masci preferisce restare in silenzio in attesa di conoscere il resto del dispositivo. (c.l.)