L’AQUILA. Qui, in via Salaria antica est, esattamente 24 ore fa c’era l’inferno. Sono le 14,45 di giovedì 19 maggio, un giorno come tanti. Solo che questo è il “giorno dopo”. I luoghi del dolore possono essere ovunque ma si assomigliano tutti. Il vento accarezza le siepi che la primavera ha rigenerato, attenua il primo caldo e spinge delicatamente il cancello esterno della scuola dell’infanzia che _ serrato alla meglio _ si apre come d’incanto. Una mano dall’interno lo richiude e cerca di bloccarlo. Nessuno da fuori prova a entrare. Non c’è più nulla da fare e nulla da vedere. Appesi dal lato strada ci sono fiori bianchi, un orsetto marrone di peluche, uno più piccolo bianco, un papero giallo.
IL BIGLIETTO. Sotto il cuoricino di rose candide un bigliettino “Ciao Tommaso, vola in alto con gli angeli”. I luoghi del dolore sono così. Li guardi come fossero tabernacoli ma subito dopo vorresti farli sparire perché per sempre ricorderanno quello che non doveva succedere e invece è successo. Poco prima delle 15 arrivano tre signore. Una dietro l’altra. Non parlano. Poggiano dei mazzolini di fiori, sembra trattengano il fiato. Vanno via subito. Un minuto in più e il nodo in gola esploderebbe in un pianto incontenibile. Questa zona di Pile è come una grande famiglia. Le case sono strette una alle altre. Gli edifici sono nuovi. C’è ancora qualche cantiere della ricostruzione, dai grandi tabelloni predisposti per la campagna elettorale spuntano le enormi facce dei candidati. La modernità è rotta solo dai nomi delle strade che richiamano grandi famiglie della storia: via Malatesta, via Orsini, via Torlonia.
Da queste parti ci si conosce un po’ tutti anche se si va di fretta e ci si incontra solo per caso. Oggi qui nessuno va di fretta. Le macchine rallentano come quando si abbassa il tono della voce per non disturbare troppo. Da dentro gli automobilisti guardano verso quei fiori che sono i muti testimoni di una tragedia infinita. Non c’è curiosità morbosa.
Gli sguardi sono attoniti, le palpebre per un attimo si abbassano come se di fronte a quella ferita sanguinante anche gli occhi si rifiutino di guardare la realtà. Pure i colleghi giornalisti hanno abbandonato il campo. Gli ultimi, poco dopo le 15, spengono la telecamera, la rimettono nel portabagagli e via verso la città.
LA BANDIERA. Sulla parete della scuola la bandiera tricolore è a mezz’asta, quasi legata al sostegno di ferro in modo che non possa nemmeno provare a sventolare. Quando a morire è un bambino che stava in quello che i suoi genitori pensavano fosse il posto più sicuro della Terra è giusto che anche il simbolo più alto della comunità civile si abbassi non solo in segno di lutto ma anche per lanciare un monito: non si può morire così, non si può morire a 4 anni mentre si sta giocando. Una donna esce dal “recinto” della scuola. Si ferma anche lei un attimo. Guarda quel cuoricino di rose e poi mormora pensando di non essere ascoltata: non è giusto, non è giusto.
L’AREA PARCHEGGIO. Gli occhi dalla bandiera si spostano sull’ampio slargo usato come parcheggio. Una fila di barriere metalliche delimitano l’area del terribile incidente. Poco più in là altre strisce bianche e rosse segnalano da dove la macchina si è sfrenata diventando un proiettile che ha travolto Tommaso, che non ce l’ha fatta, e gli altri bambini feriti. Gli interrogativi si riducono a uno solo: perché? Nessuno ha la risposta. Purtroppo.
I BAMBINI. Pensare che solo 24 ore fa da questa strada si sentiva il vociare dei bambini che giocavano sul prato in attesa di papà e mamma che sarebbero andati a riprenderli. Uno sguardo, una breve corsa, un abbraccio e poi a casa. Il papà di Tommaso abita a due passi, 24 ore fa è stato fra i primi ad arrivare. Il primo a gridare il nome del figlio. Il primo a sperare in un miracolo. Poi il buio della notte. La notte più lunga. Il pianto dell’impotenza.
L’ALTRA SCUOLA. Cento metri più in là c’è la scuola elementare. Le finestre sono lontane dalla strada ma le voci degli alunni arrivano lo stesso seguendo le “carezze” del vento.
Il nome di Tommaso qui risuonerà per sempre, anche quando il vento diventerà tempesta.