PESCARA. Pescara cerca di voltare pagina dopo l’omicidio del 16enne Christopher Thomas Luciani del 23 giugno scorso. Stato, scuola, forze dell’ordine e istituzioni religiose: tutti insieme per fare un primo passo per cercare di spezzare la spirale di violenza tra i ragazzi, partendo dall’educazione all’uso del web e dei social. Ieri mattina in prefettura siglato un accordo in vista del prossimo anno scolastico: l’obiettivo è organizzare degli incontri con gli studenti delle scuole medie, ma anche delle superiori, sull’uso consapevole della tecnologia.
All’ufficio scolastico regionale il compito di selezionare i plessi in cui realizzare i progetti, con il diretto coinvolgimento dei ragazzi. Gli incontri saranno tenuti da polizia postale, sociologi e psicologi, grazie al supporto del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila. Tutto questo prevede il protocollo d’intesa di educazione digitale sottoscritto dal prefetto Flavio Ferdani, dal sindaco Carlo Masci, dal presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila, Cecilia Angrisano, dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila David Mancini e dal direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo, Massimiliano Nardocci. C’è un prima e un dopo per Pescara rispetto all’omicidio di Christopher? Risponde il procuratore del Tribunale dei Minorenni, Mancini, che ha coordinato le indagini per l’omicidio di Christopher.
Procuratore, da dove può ripartire la città?
«È un evento che ha segnato le coscienze della collettività, ma di eventi gravi purtroppo ce ne sono ormai sempre più spesso. L’impegno è quotidiano, non lo lego a un prima e un dopo. Questo protocollo è il primo passo verso una serie d’impegni reciproci tra le istituzioni, che non devono volare sopra le teste dei ragazzi, ma devono coinvolgerli. La mia idea è che debbano essere protagonisti di ogni forma di cambiamento. A volte sono più loro a insegnare a noi che non il contrario. La comunicazione non può mai essere unidirezionale. Chiunque parli con un adolescente o con un giovane sa che imporre dall’alto con i “devi” è poco efficace. Quando lo scambio è reciproco, i risultati possono essere positivi. Lo scopo di un’educazione digitale non dev’essere un impartire prescrizioni e compiti da svolgere, ma dev’essere una riflessione comune in cui i ragazzi, mi auguro, saranno protagonisti ».
I ragazzini sono davvero così annebbiati e alienati dal mondo virtuale dei social?
«Lo sono, e parecchio. Dobbiamo sforzarci di capire. Io appartengo alla generazione che suonava al citofono per chiamare gli amici. Ora è tutto digitale, si stenta a parlare e ci si limita a scrivere messaggi, tra l’altro spesso sgrammaticati perché scritti in uno slang figlio di questa generazione. L’utilizzo dei social, con la visione di tonnellate di informazioni in cui si veicolano e promuovono esempi non positivi ed eroi che sono invece antieroi, porta a una scissione troppo forte tra quello che è reale e ciò che è digitale. Non c’è una visione chiara di ciò che è l’uno e ciò che è l’altro. Dalla mia esperienza posso dire che per i ragazzi c’è un periodo di decantazione di quello che gli accade: ci mettono del tempo per capire che quello che vivono è reale e non virtuale. Sul momento non si vedono emozioni, ma non è così: le emozioni ci sono, ma sono sedimentate sotto una coltre di confusione. Poi quando arriva il momento per riflettere, le emozioni vengono fuori e viene fuori la confusione tra reale e virtuale».
Le famiglie che ruolo hanno e cosa potrebbero fare?
«Le famiglie devono essere molto più presenti. Costa molta fatica perché viviamo in tempi troppo veloci, ma devono dedicarsi ai ragazzi. Devono parlarci, confrontarsi con loro, non devono dare nulla per scontato e ascoltarli. E, soprattutto, devono responsabilizzarli, senza correre immediatamente a raccoglierli, ma insegnando loro a rialzarsi dopo una delusione, una sofferenza o una bocciatura. Senza prendere immediatamente le loro parti, accusando il professore per un brutto voto o l’allenatore per un’esclusione o una fidanzatina per la fine di una relazione. Così si creano solo danni, c’è il rischio che cresca un ragazzo incapace di affrontare la realtà. Perché la realtà è dura, e senza i genitori-difensori non saprà come affrontarla. E, in contesti gravi, potrebbe reagire in malo modo».
Nella vicenda dell’omicidio di Christopher cosa l’ha colpita maggiormente?
«Non posso dire nulla al riguardo, ma è chiaro che ci sia un po’ di tutto quello che ho detto prima. È evidente che sono situazioni in cui non ci si rende conto di quello che si sta facendo».