
PESCARA. «Mio fratello ora rimuove i cadaveri dalle strade e li recupera da sotto le macerie dei palazzi distrutti. Fa il suo lavoro e compie il suo dovere anche sotto la minaccia delle bombe. Sono spaventata, temo per la sua vita, vivo nel terrore di non rivederlo più».
Ricaccia indietro le lacrime e si fa forza Lyudmyla Zelenska, 43 anni, residente a Pescara da 16 anni ma originaria di Leopoli, mentre racconta, con dettagli da brivido, il dramma del fratello Dimytro Loboda (portano ciascuno i cognomi di mamma e papà), 37 anni, vice capo distaccamento della locale Protezione civile, in trincea dentro e fuori i confini della sua città natale, divenuta, al 43° giorno di battaglia russo-ucraina, un campo di devastazione e morte con l’aeroporto, un deposito di carburante e un poligono di tiro a 20 chilometri dalla Polonia, oltre alle tante abitazioni, centrati dall’artiglieria russa.
CADAVERI RIMOSSI SFIDANDO LE BOMBE. «Maledetti russi», si lascia sfuggire Lyudmyla, detta Mila, in un momento di rabbia per colpa di una guerra «assurda che colpisce a morte i civili». Già, quei civili che il fratello rimuove dall’asfalto a mani nude, schivando i proiettili, e che poi trasporta in luoghi altrettanto insicuri per effettuare il riconoscimento delle salme. «Con i colleghi, al suo comando, opera con grande coraggio, sfidando la paura delle bombe che possono piombare sulle loro teste da un momento all’altro», racconta Mila commossa, «nell’arco delle 48 ore di turno, tra mille difficoltà: non possono dormire, né lavarsi, né possono contare su un giaciglio per ripararsi, quando di notte la temperature scendono sotto lo zero».
I FIGLI IN SALVO A PESCARA.
«Quando recuperano i corpi abbandonati e tra questi anche quelli di bambine stuprate», prosegue Lyudmyla Zelenska, (il cognome è declinato al femminile come si usa in Ucraina), lontanissima parente, così dice, del presidente Volodymyr Zelensky, «devono prima capire di chi si tratta prima di seppellirli. Ma non è facile». L’ultima volta che Lyudmyla ha sentito per telefono il fratello (volontario della Protezione civile come papà Ivan morto a febbraio)è stato tre giorni fa: «Mi chiama per sapere dei figli che sono in salvo a Pescara. Cerchiamo di stemperare la paura scherzando e ridendo». Mentre Dimytro rischia la pelle al fronte, infatti, è lei a occuparsi dei due figli del fratello-soldato, Maxim e Dmetro, di 14 e 10 anni, che grazie alle sue premure di donna dolce, ma dal carattere d’acciaio, vivono momenti di serenità nella sua casa pescarese. Per i nipotini organizza festicciole per allontanare i cattivi pensieri.
LA GENEROSITÀ DI LYUDMYLA. Un altro bimbo verrà alla luce, è quello della seconda moglie di Dimytro, incinta di poche settimane «che non vuole scappare da quell’inferno ed è rimasta accanto al marito rischiando due vite, la sua e quella del piccolo che porta in grembo», si sfoga l’ucraina che a Pescara fa di tutto, badante, giardiniera, cuoca, volontaria, per aiutare la famiglia e tantissimi altri sfollati che neppure conosce.
Nella sua Leopoli, dove il centro storico, dal 1998 patrimonio dell’Unesco, «porta la firma di architetti italiani», infatti, ha lasciato la casa di 120 metri quadrati «aperta a chiunque abbia bisogno di rifugio. Ho ospitato centinaia di persone in questi due mesi, viaggiatori provenienti da chissà dove che si fermano nella vicina stazione ferroviaria e non hanno dove andare. A casa mia trovano i letti per dormire e la cantina è piena di sottaceti, patate e salumi preparati durante l’inverno. Ma da qui mando anche provviste di viveri. Chi entra nella mia casa, custodita da amici e parenti, per ora è al sicuro perché non è bersaglio dei russi che stanno rubando e distruggendo le abitazioni deserte», conclude Mila prima di salutarci.