
PESCARA. Hanno pensato a tutto le amiche e le colleghe di Monia. Sono state loro, su iniziativa della famiglia Di Domenico, ad allestire in suo nome “la libreria di Monia” negli spazi dell’associazione Ananke, che si occupa di violenza contro le donne. E poi l’hanno materialmente messa in piedi, quella biblioteca, trasportando in via Tavo 248 gli scaffali della psicologa e i suoi libri, 500 in tutto, contenuti in 17 scatoloni. È un modo per continuare a far vivere le sue mille passioni, anche se Monia Di Domenico non c’è più: l’ha uccisa l’inquilino che occupava il suo appartamento di via Monte Sirente 65, che doveva versarle due mesi di affitto. Era l’11 gennaio 2017, la psicologa aveva 45 anni. Si realizza così un’idea che sua madre, Doretta Foschi, 76 anni, ha sempre pensato di concretizzare, in questi sei anni.
Come è nato questo progetto?
«Monia era figlia unica, avevo solo lei, ma ho fatto in modo di non viziarla. La sua maestra ha scoperto solo in terza elementare che non aveva fratelli. È sempre stata appassionata di libri, ne aveva tanti, e quando è andata a vivere da sola ha destinato una cameretta alla sua libreria: ha tappezzato le pareti di scaffali, sistemando lì i suoi libri. Avevo pensato di donarli a Corropoli, il mio paese, dove vivo. Ma il Comune non aveva spazi. Ne parlai con le amiche di Monia e una di loro, Manuela Vizioli, ha cercato un posto giusto. Sono passati gli anni e proprio Manuela ha pensato ad Ananke. Se avessi donato solo i libri, magari ci sarebbe voluto del tempo per allestire tutto, e così ho pensato di regalare anche gli scaffali, anche se è stato un sacrificio sistemare tutto. Ci hanno pensato sei amiche di Monia, io non sono andata: soltanto sentir nominare Pescara mi provoca un blocco al cuore. Ma il giorno in cui hanno preparato tutto Barbara De Amicis, una di loro, mi ha mandato le foto. Ora quei libri sono nel posto giusto. Io e mio marito ci saremo, il 9, per l’inaugurazione».
La “libreria di Monia” è un modo per mantenere vive le sue passioni, i suoi interessi. E nello stesso tempo si alimentano le attività dell’associazione Ananke, impegnata nella lotta contro la violenza alle donne. Sono più tasselli che si mettono insieme, no?
«So che Monia è morta ma io la sento viva, è viva dentro di me. E credo che ci sia il suo zampino dietro questa iniziativa, credo che ci sarà sempre. Sono passati già sei anni da allora ma lei è nei ricordi di tutti, nel cuore di tutti, lo vedo dai fiori e dai pupazzetti che trovo sulla sua tomba. L’ultima testimonianza l’ho avuta da un suo ex compagno di università: non vive qui in Abruzzo ma gli ho girato la locandina per l’inaugurazione e mi ha risposto “Monia è ancora nel cuore di tutti”. E d’altronde lei era sempre disponibile, non solo con gli amici, sapeva mantenere i contatti e rinunciava a qualcosa di suo pur di accontentare gli altri. Io devo ringraziare tantissimo le sue amiche, quelle vere, le sue colleghe: sono state loro a non farmi impazzire. Sono sempre venute a trovarmi, mi hanno aiutato, mi sono state vicine, tantissimo. Ci sarebbe stato da impazzire, sì, per quello che è successo. Forse me le ha mandate lei. Chissà, forse sono matta a pensarlo».
Con la donazione di questi libri si torna a parlare di violenza di genere. Ma in questi giorni, dopo la morte di Giulia, uccisa dal fidanzato, il tema è particolarmente sentito in tutta Italia. Lei cosa ha pensato dopo l’ultimo femminicidio?
«Che è colpa dello Stato. Di morti ce ne saranno altri perché le pene non sono adeguate. D’altronde, c’è stata giustizia per noi? No, non c’è stata giustizia, perché quel signore è stato condannato a pochi anni. Solo per noi un anno è composto da 12 mesi: ai carcerati si danno i premi, sono agevolati. Io prego il Signore di farmi morire prima che esca perché non accetterei di rivederlo in giro. Sono vecchia per andare via dall’Italia, se fossi stata più giovane me ne sarei andata da questo Paese. Qui c’è giustizia solo per i delinquenti, anche se scrivono che “la giustizia è uguale per tutti”. Non è così. Giulia non avrà giustizia come non l’ha avuta Monia. Chissà, forse se fosse stato il figlio di un giudice, a perdere la vita, sarebbe andata diversamente». (f.bu.)