L’AQUILA. La guerra ai cinghiali dell’Aquila finisce sul tavolo dei giudici del Tar. A portarcela è l’associazione animalista Earth, che ha impugnato l’ordinanza del 19 ottobre scorso con cui il sindaco Pierluigi Biondi ha autorizzato la cattura e l’abbattimento in ambito urbano. La prima battaglia l’ha vinta però il Comune, nonostante l’ente non si sia nemmeno costituito in giudizio per difendersi con i propri avvocati: i giudici hanno infatti rigettato la richiesta dell’associazione di sospendere l’efficacia dell’ordinanza in attesa della discussione nel merito.
Tre le motivazioni del rigetto da parte del Tar. La prima: «Il provvedimento impugnato è stato adottato per contrastare il fenomeno della diffusa presenza di cinghiali selvatici nell’ambito del territorio urbano, accertata a seguito di numerose segnalazioni da parte della cittadinanza e su richiesta pervenuta dalla Asl 1 Avezzano- Sulmona –L’Aquila». La seconda: «La diffusione di animali selvatici nel territorio urbano è idonea a determinare un serio e concreto pericolo per la viabilità stradale nonché per la pubblica incolumità e la salute pubblica». La terza: «Il provvedimento impugnato ordina la cattura e, peraltro solo eventualmente, l’abbattimento dei cinghiali segnalati nel territorio urbano comunale, al solo fine di salvaguardare la cittadinanza da un serio e concreto rischio di danni rilevanti, derivanti dall’incontrollato fenomeno della presenza di animali selvatici nel territorio antropizzato». I giudici hanno però fissato per il 23 novembre la discussione nel merito del ricorso.
In realtà il contenzioso legale era nell’aria. Subito dopo la pubblicazione dell’ordinanza, infatti, si era fatta sentire la Lega antivivisezione Lav, diffidando il primo cittadino ad annullare immediatamente l’ordinanza giudicata illegittima. «Si sono già sentiti i primi colpi di fucile nelle zone più periferiche della città», dichiarava la Lav, secondo cui il controllo della fauna selvatica nei centri urbani può essere autorizzato con ordinanza sindacale esclusivamente per motivi sanitari e per la tutela del patrimonio storico-artistico, dopo avere sentito l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). «Di tutte queste prescrizioni non c’è neppure l’ombra nell’ordinanza», concludeva la Lav. (l.t.)