L’AQUILA. La città prepara un’altra mobilitazione contro la sentenza choc. «Di incauta c’è soltanto questa giustizia, non la condotta degli studenti che avevano scelto questa città, insieme alle loro famiglie, per costruirsi un futuro, trovando invece la morte». Pesano come macigni le parole di Vincenzo Vittorini, esponente del comitato familiari delle vittime del sisma, 48 ore dopo l’anticipazione del Centro sulla sentenza choc dei giudici della Corte d’Appello e la condotta incauta da parte delle vittime, rimaste uccise dal crollo delle rispettive abitazioni la notte del 6 aprile.
VITTORINI
«Questi ragazzi sono stati uccisi il 6 aprile 2009 e vengono uccisi di nuovo con quest’ultima sentenza». Un verdetto che, secondo Vittorini, «si pone in continuità con i precedenti», segno quindi «di uno Stato incapace di ristabilire verità e giustizia, ma capace altresì di prendersela con i propri cittadini inermi, senza tutelarli né fare prevenzione, pur di salvaguardare i potenti e sé stesso. È uno Stato che con sentenze come questa», aggiunge, «anziché difendere chi ha perso la vita, lo colpevolizza ponendosi in antitesi ai più basilari diritti di civiltà. Non si può andare avanti così. Questo è un Paese tempestato di stragi in ogni sua parte, senza però la capacità di fare giustizia né pulizia laddove dev’essere fatta, ma emettendo sentenze scandalose che servono soltanto a mortificare le vittime e le loro famiglie. Resta tuttavia uno Stato libero e democratico in cui, da cittadini, penso sia nostro preciso dovere commentare le sentenze ed esserne disgustati», prosegue Vittorini, ribadendo come si tratti «dell’ennesima sentenza scandalosa di uno Stato che ci lascia soli e combatte noi, non le ingiustizie. Ormai», conclude, «ci sono sentenze fotocopia non solo all’Aquila, ma in tutta Italia, ed è inutile fare il resoconto delle tante stragi in cui la mano dell’uomo ha avuto la parte preponderante. Tanto le sentenze sono sempre tutte uguali».
GIANNANGELI
Tira invece in ballo Giuseppe Ungaretti e la sua Cessate di uccidere i morti la capogruppo dell’Aquila coraggiosa Simona Giannangeli, che torna sul “vilipendio giuridico” rappresentato dalla incauta condotta attribuita alle sette vittime su cui è stata chiamata a esprimersi la Corte d’Appello, ricordando tutti i ragazzi che quella notte persero la vita. «Cinquantacinque tra studentesse e studenti sono morti il 6 aprile. A distanza di quindici anni, un’altra sentenza ne uccide di nuovo sette. Hanno “concorso” nella loro morte con le loro condotte. La presidenza del Consiglio dei ministri è assolta ancora. I sette giovani invece sono colpevoli» spiega Giannangeli, lasciando prevalere, almeno per una volta, il suo ruolo di cittadina a quello di legale. «Sono un’avvocata e non ho mai commentato una sentenza senza prima leggerne le motivazioni. Stavolta non posso e non voglio attendere. So che l’applicazione delle norme giuridiche si fonda solo sulla ragione e sulla logica, ponendo fuori in modo assoluto la sfera emotiva. So anche che l’imparzialità e la terzietà sono elementi imprescindibili dell’attività della magistratura, ma questa sentenza mi sconvolge, mi addolora e mi fa paura. Mi fa paura perché vivo in un paese costellato di terremoti, frane, alluvioni, ponti caduti, seggiovie crollate, treni deragliati, incendi dolosi. Come dovremo comportarci da oggi in poi?» si chiede. «In caso di terremoto, per esempio, avremo l’obbligo individuale di scegliere, indovinando la condotta cauta? Correre in strada, convincere amici e parenti e amici a uscire di casa? Per poi farvi rientro quando? Dovremo chiederci quale sia la condotta giusta, quella che, in caso dovessimo morire, non ci renderà pure colpevoli della nostra stessa morte. Sentinelle di noi stesse e di noi stessi. Lo Stato si spoglia di ogni obbligo e di ogni responsabilità in relazione alla tutela della comunità che governa. È uno Stato che perde in civiltà giuridica, in percezione umana delle cose che accadono, è uno Stato che mi fa paura. Quindici anni fa un manipolo di esperti ci consigliò un bicchiere di Montepulciano per affrontare quei momenti. Oggi una Corte d’Appello afferma che sette tra studentesse e studenti quella notte hanno avuto una responsabilità nel loro essere rimasti sotto le macerie. Chissà se avevano bevuto un po’ di Montepulciano: avrebbe potuto essere un’ulteriore aggravante delle loro già incaute condotte. Sono addolorata e terribilmente preoccupata per ciò che questa sentenza inscrive nell’orizzonte delle responsabilità individuali in qualsiasi caso di calamità, perché, da oggi, siamo chiamate e chiamati al massimo grado di cautela in caso di catastrofi di ogni genere. Lo Stato abdica ancora una volta al suo ruolo di garante della vita delle comunità e continua a uccidere chi aveva scelto questa città per disegnarsi un futuro. È necessaria e urgente la massima mobilitazione. Dobbiamo di nuovo scendere in piazza e manifestare lo sdegno e il rifiuto di logiche inaccettabili che ci giudicano colpevoli di essere morti. Cessate di uccidere i mortiè rivolta ai superstiti, affinché si sospenda ogni forma di violenza che offenda la memoria dei morti».