
CHIETI. «Mi chiamava “amore mio”, diceva che ero la sua bambina e mi chiedeva particolari sul mio fidanzato». Roberta, 15 anni, racconta così le morbose attenzioni e le molestie alle quali la sottoponeva un suo professore, che si è spinto fino ad allungare le mani su lei. «A me invece mi chiamava “cucciola”. Aveva comportamenti strani, mi sentivo a disagio», aggiunge Erika, che di anni ne ha 13.
Il docente, 55 anni, è di Chieti e lavora in una scuola media di Milano, dove – in base alle accuse del pubblico ministero Grazia Colacicco – si sono verificati i fatti poi sfociati nella misura cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Nobili, che ha disposto nei confronti dell’insegnante il divieto di avvicinamento alle vittime e ai luoghi da loro abitualmente frequentati, dunque anche l’istituto scolastico. I nomi sono naturalmente di fantasia, ma le parole pronunciate dalle giovani nel corso delle audizioni sono vere. Parole che procura e tribunale hanno considerato pienamente attendibili. Tra le studentesse sono iniziati così a circolare i primi malumori e le prime critiche fino a quando le due vittime hanno deciso di confidarsi con la psicologa e l’educatrice su quanto accadeva nell’ambiente scolastico. A quel punto sono stati avvisati gli altri docenti e il preside, che ha inviato la segnalazione alla procura della Repubblica.
In base al racconto delle vittime, il docente cercava in continuazione contatti fisici con loro, catalogati dagli inquirenti come veri e propri atti sessuali. «Mi baciava sulle guance e mi abbracciava senza motivo», ricostruisce Roberta davanti agli investigatori, «mi diceva “che bella che sei”, “sei la mia bambina”, “sei vestita bene”, “ormai sei una donna”». In diverse occasioni, il professore le ha toccato i capelli, allungando poi le mani sul viso, sulla schiena e sul collo. Quei comportamenti anomali si sono verificati non solo a scuola, ma anche durante una visita d’istruzione. Nelle prossime ore il professore sarà ascoltato dal giudice e avrà l’opportunità di respingere la pesantissima accusa di violenza sessuale continuata e aggravata dall’abuso di autorità.
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