TERAMO. C’è un altro passaggio a scandire l’inchiesta sul presunto caso di caporalato per cui un giovane imprenditore agricolo e sua madre da due settimane sono agli arresti domiciliari: il migrante marocchino che li accusa sarà interrogato nel corso di un incidente probatorio. Un esame chiesto dal pm Francesca Zani e disposto dal gip Roberto Veneziano. Un interrogatorio che servirà a cristallizzare le accuse dell’uomo anche in previsione del fatto che, in considerazioni dei tempi dei fascicoli processuali, potrebbe non esserci al momento di un eventuale dibattimento. Proprio a questo aspetto fa riferimento la Procura che nella richiesta scrive: «È un cittadino straniero privo di documenti di identità e permesso di soggiorno. Sussiste un fondato motivo di ritenere che lo stesso non verrà reperito in dibattimento al fine di rendere l’esame testimoniale». Esame indispensabile in un caso come questo. Va detto anche che, così come previsto dalla legge sull’immigrazione, il migrante può chiedere e ottenere un permesso di soggiorno temporaneo come vittima di particolari condizioni di sfruttamento lavorativo. Ma anche in questo caso non ci sono certezze codificate sui tempi di concessione.
Mamma e figlio sono accusati (accuse tutte da dimostrare nel corso del procedimento in corso) di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con violazione dei contratti nazionali e delle norme sulla sicurezza del lavoro. Secondo il migrante, attualmente ospite in una comunità protetta, gli sarebbe stato imposto di lavorare dodici ore al giorno per occuparsi di bestiame con l’obbligo di fare da custode anche nelle ore notturne. Tutto per 500 euro al mese e l’alloggio in una roulotte senz’acqua e senza luce posizionata vicino alla stalla, a Sant’Atto. Per il lavoro fatto da giugno dell’anno scorso e maggio di quest’anno sarebbe stato pagato solo con 2.500 euro. Inizialmente la misura degli arresti domiciliari era stata disposta solo per il figlio, il 25enne Marco Di Francesco amministratore di fatto dell’azienda agricola, mentre per la mamma, la 50enne Nicoletta Di Fabio di fatto titolare dell’azienda ma con un altro lavoro, era stato disposto il divieto di dimora a Teramo. Nei giorni scorsi anche per la donna sono scattati gli arresti domiciliari perché accusata di aver violato il divieto. La donna, assistita dall’avvocato Franco Patella, ha fatto ricorso al Riesame per chiedere la possibilità di recarsi al lavoro. L’uomo è assistito dall’avvocato Lidia Serroni. Entrambi gli indagati nel corso dell’interrogatorio di garanzia hanno respinto tutte le accuse.
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