L’AQUILA. Avevano fatto il gioco delle tre carte pur di avere l’abitazione equivalente (utilizzando la norma che prevede che il Comune compra al cittadino una casa nuova – e in un luogo diverso – al posto di quella danneggiata dal sisma (la cui proprietà passa all’ente pubblico) ma la Cassazione ha condannato due cittadini aquilani (coniugi) in via definitiva per avere «attestato falsamente, mediante autocertificazione che un immobile in via Cola dell’Amatrice, dichiarato inagibile a seguito del sisma del 6 aprile 2009, a tale epoca era adibito a propria abitazione principale mentre in realtà gli imputati erano dimoranti stabilmente in via San Giuliano». A leggere l’accusa da cui nasce la condanna (confermata dall’Alta Corte) ci si rende conto delle acrobazie che in qualche caso sono state messe in atto pur di avere qualcosa che in realtà non spettava. «In una comunicazione integrativa spontanea a firma congiunta i coniugi avevano dichiarato che l’appartamento di via San Giuliano era adibito allo svolgimento dell’attività professionale del marito e di averlo indicato, nella prima dichiarazione, quale abitazione principale, per mero errore interpretativo della norma», si legge nel capo di accusa. «In tal modo gli imputati con richiesta nel 2013 di concessione di un contributo per l’acquisto di una unità immobiliare, sostitutiva di quella precedente distrutta, percepivano la somma di 388.544 euro». La Cassazione scrive nella sentenza: «Pur a fronte di una imputazione non chiarissima, i giudici di merito hanno ricostruito i fatti e spiegato che la moglie presentò una prima richiesta di riparazione di immobili dichiarati inagibili a seguito del sisma in relazione all’abitazione sita in via San Giuliano, destinata ad abitazione principale. Con la richiesta in esame, il marito aggiunse di risiedere in via Cola della Amatrice ma di avere stabile dimora in via San Giuliano. A seguito di tale prima richiesta la moglie, percepì un contributo di circa 18.280 euro. Successivamente fu presentata dal marito una nuova richiesta – sostitutiva della prima – per la concessione di un contributo per l’acquisto di una nuova abitazione in cui si attestò che alla data del sisma questi aveva la residenza e la stabile dimora in via Cola dell’Amatrice. Con successiva nota, i due imputati dichiararono che l’abitazione in via San Giuliano, lungi dall’essere il luogo di residenza della famiglia, costituiva il domicilio fiscale di un’attività produttiva».
Insomma un tormentone. Nel processo «è stato provato che all’epoca del sisma gli imputati avessero la dimora e l’abitazione principale in via San Giuliano e sulla base di questa ricostruzione dei fatti» conclude la Cassazione «è stato puntualmente spiegato perché sussistono i requisiti del reato contestato. È pienamente provata la responsabilità concorsuale della moglie alla quale è stata confiscata la somma di 388.544 euro. Il ricorso è quindi inammissibile e ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si determina nella misura di 3.000 euro per ciascuno».
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