PESCARA . «Era buono, amava stare sempre in compagnia. E stava facendo di tutto per mettersi alle spalle i problemi del passato e ricominciare». Davanti a tutti, tra le mille persone arrivate ieri al parco Baden Powell a pregare per “Crox”, questo il nomignolo con cui tutti gli amici chiamavano Christopher Thomas Luciani, c’è una ragazzina minuta che piange, inconsolabile. E’ Michelle, 16 anni, pescarese, sorretta da due amiche, un’ex fidanzatina della giovane vittima dell’omicidio di domenica scorsa. «Ci eravamo rivisti poco tempo fa qui a Pescara, al mare. Era sorridente, felice, contento di questo percorso per diventare parrucchiere appena iniziato. Era ottimista e voleva costruirsi un futuro. Ci eravamo conosciuti proprio al mare, quando aveva iniziato a frequentare l’Acerbo. Se conosceva quei ragazzi? Con uno di loro in particolare era molto legato, ma non so chi sia, io non li conoscevo», aggiunge la ragazza protetta dal suo felpone bianco e dalle amiche, arrabbiate con il mondo per la perdita di «un bravo ragazzo, non era un delinquente». E ancora: «Com’è possibile che qui», dice una di loro indicando i palazzi che affacciano sul parco, «nessuno abbia visto né sentito nulla? Come si fa a restare in silenzio di fronte a quest’orrore? E poi mi chiedo: come si può uccidere un proprio coetaneo, e con tanta crudeltà? Spero che chi ha commesso questo crimine venga punito in modo esemplare».
Alla preghiera organizzata dalla comunità di Sant’Egidio ci sono don Rolando, parroco della comunità stessa venuto da Roma, don Antonio, della parrocchia del quartiere, e don Marco, parroco di Rosciano. In preghiera, in silenzio, oltre ai gruppi scout, anche le istituzioni cittadine: il questore Carlo Solimene, il prefetto Flavio Ferdani, il comandante provinciale dei carabinieri Riccardo Barbera, il sindaco Carlo Masci, i consiglieri comunali Claudio Croce, Marcello Antonelli, Alfredo Cremonese, Piero Giampietro e Francesco Pagnanelli.
Tanti giovani, e non solo, arrivati da Rosciano. C’è chi ricorda il piccolo Christopher in paese, cresciuto con la nonna. Che ieri non c’era. E non c’erano i genitori: la madre è all’estero e non tornerà nemmeno per i funerali, il padre non vive più in Abruzzo. «Una vita segnata dall’assenza del papà e dai problemi della madre. La nonna ha fatto cose grandiose per tutelarlo e non fargli sentire l’assenza, ma purtroppo non è bastato. Il papà, di Rosciano, non c’è mai stato. La madre ha avuto un cammino problematico», dicono dei conoscenti, «Lui è stato un vulcano di vitalità, che aveva bisogno di riferimenti e di certezze. Fino a quando è stato in paese, è stato protetto e seguito. Quando ha iniziato a studiare a Pescara, sono iniziati i problemi. Lo abbiamo perso di vista e, come tanti ragazzi che dall’entroterra vengono qui a studiare, è stato risucchiato dalle tentazioni della città, fino all’epilogo che conosciamo. Ma in comunità, da quello che sapevamo, stava recuperando e completando un percorso per reinserirsi nella società. Cosa gli sia passato nella testa qualche giorno fa, fino a spingerlo a venire a Pescara per incontrare quei ragazzi, nessuno di noi lo sa…».
Il parco è tutto colorato dai fiori e dai biglietti lasciati all’ingresso dai tantissimi ragazzi presenti: «Avrò l’onore di stringerti la mano nell’alto dei cieli», «Ti ricorderemo per sempre», e ancora «Eri un ragazzo che cercava amore, ti vogliamo bene, ciao Christopher». Quando inizia la preghiera di don Rolando scende il silenzio sul Baden Powell: «La sua morte non dev’essere dimenticata. Il grande peccato di questo caso è stato l’indifferenza, ed è proprio per questo motivo che noi siamo qui oggi, tutti insieme, a pregare per Thomas come occasione per tornare a credere in una Pescara più umana e unita».
Tra la folla volti ancora increduli a diversi giorni di distanza dalla tragedia: «Appena ho sentito la notizia non ci credevo, sono rimasto sconvolto», dice commosso Filippo De Francesco, 20 anni, un residente di via Raffaello, «perché la crudeltà utilizzata in questo omicidio è indescrivibile. È morto un ragazzino di soli 16 anni e ogni giorno vado a leggere le notizie nel tentativo di trovare qualche aggiornamento. Ma mi chiedo continuamente come sia possibile che non ci sia alcun tipo di sicurezza, perché qui in zona sanno tutti che all’interno del parco circola lo spaccio di droga, eppure non sono mai intervenuti. Non riesco a spiegarmelo, soprattutto per l’età dei ragazzi».
«Quando ho visto la scientifica arrivare domenica sera non sapevo cosa pensare», ha aggiunto Claudio Di Renzo, 29 anni, anche lui residente nella zona, «e quando ho realizzato tutto ho provato tantissima rabbia e dolore. La cosa che più mi ha sconvolto è stata l’assenza di empatia che hanno provato nell’uccidere Thomas. Sputi, calci, coltellate, battute dopo l’omicidio, si sono comportati come se non fossero umani ed è terrificante sapere che stiamo parlando di minorenni».
«Ormai è chiaro che qui abbiamo un problema psicologico», interviene Vladimir D’Onofrio, «Thomas aveva tutta la vita davanti e meritava la possibilità, considerando il suo passato travagliato, di cambiare e di sperare dunque in un futuro migliore. Ma si tratta di una possibilità che gli è stata negata e, vorrei precisare, non da un omicidio ma da un accanimento, perché 25 coltellate vanno ben oltre…».