MARTINSICURO. In carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un imprenditore edile di Tortoreto. L’operazione denominata “Gomorra truentina” è scattata ieri prima dell’alba e ha portato all’arresto di cinque napoletani di età compresa tra i 21 e i 49 anni: si tratta di Francesco Granato (classe 1995), Giovanni Favarolo (1989), Grazia Piscopo (1974), Antonio Sarno (1991) e Antonio Madonna (2002). Quattro sono domiciliati da tempo a Martinsicuro e uno a Melito di Napoli (ma occasionalmente saliva a Martinsicuro), tre hanno precedenti e due risultano incensurati. L’operazione è stata condotta dalla Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, che ha spiccato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico dei cinque partenopei subito eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Teramo e della compagnia di Alba Adriatica con il supporto del nucleo cinofilo ed elicotteri dell’Arma di Pescara. L’indagine, curata dal pubblico ministero Roberta D’Avolio, è partita dalla denuncia presentata da un imprenditore di Tortoreto finito nella morsa estorsiva dei malviventi a causa delle sue difficoltà economiche. A firmare i provvedimenti restrittivi è il gip Marco Billi.
LA VICENDA
L’imprenditore, secondo l’accusa, stava subendo ritorsioni, minacce di morte (gli avevano anche puntato una pistola contro) ed estorsioni con il metodo mafioso da quando aveva venduto un Rolex di sua proprietà a un pregiudicato napoletano residente a Martinsicuro. L’incubo per l’uomo era iniziato lo scorso 25 agosto. Trascorsi alcuni giorni dall’acquisto dell’orologio di lusso, il pregiudicato ha simulato che il Rolex fosse falso. A quanto sembra, l’orologio era finito a Napoli e qui sarebbe stato sostituito il meccanismo per farlo risultare falso in modo da avere la scusa per estorcere denaro al malcapitato. Il napoletano, oltre a pretendere i soldi indietro, aveva alzato la posta a cinquemila euro utilizzando ogni forma di minaccia per ottenere il denaro. L’imprenditore ha rifiutato di cedere al ricatto dell’uomo. A quel punto sono entrati in scena gli altri quattro indagati (tre uomini e una donna, anch’essi originari di Napoli ma domiciliati a Martinsicuro), i quali sostenendo di appartenere a un clan camorristico hanno iniziato a minacciare l’imprenditore e il padre perché pagassero. La banda si è impossessata della vettura della vittima, una Smart del valore di circa seimila euro, pretendendo il passaggio di proprietà: e con quella vettura (ora riconsegnata al proprietario) uno degli indagati è stato visto girare. Imprescindibile per assicurare alla giustizia i cinque è stata la denuncia della vittima, incoraggiata a porre fine all’incubo anche da chi era venuto a conoscenza del misfatto. L’imprenditore ha descritto minuziosamente i suoi taglieggiatori ai carabinieri della compagnia albense guidando, così, l’Arma. Le intercettazioni hanno poi chiuso il cerchio delle indagini ed è stato particolarmente importante il lavoro dei carabinieri di Martinsicuro che, conoscendo i soggetti (già sotto osservazione), hanno saputo con una certa facilità individuarli.
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