CASALBORDINO. Adesso che ne abbiamo persi altri 3, la voglia di giustizia batte ancora più forte alle porte del tribunale. L’appuntamento è fissato per le 11.40. Tre vite spezzate e un regolamento di conti con la legge tutto da scrivere. Accanto a Carlo Spinelli, Paolo Pepe e Nicola Colameo, morti nell’esplosione del 2020, ci saranno anche loro – Fernando Di Nella, Gianluca De Santis e Giulio Romano – i convitati di pietra, ultime vittime dell’ennesima tragedia nella fabbrica di Casalbordino. Il filo nero di morte che avvolge due stragi in un’inquietante sequenza numerica da brividi – 3 vittime 3 anni fa, altre 3 vittime ieri – si snoda oggi davanti a un giudice del tribunale di Vasto, Anna Rosa Capuozzo, chiamato a tirare le somme dell’inchiesta sulla prima deflagrazione alla Esplodenti Sabini avvenuta il 21 dicembre 2020. Sarà un’udienza interlocutoria, destinata a subire la scossa emotiva della tragedia di ieri.
In nove rischiano il processo per la morte di Spinelli, 54 anni di Casalbordino, e dei 45enni Pepe di Pollutri e Colameo di Guilmi: Gianluca Salvatore, 53 anni di Lanciano, residente a Pescara, legale rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione della Esplodenti Sabino spa; Sabino Salvatore, 55 anni, nativo di Pescara e residente a Vasto, amministratore delegato; i consiglieri del cda Massimo, Gabriella e Marco Salvatore, rispettivamente di 53, 89 e 48 anni, tutti residenti a Lanciano; Giustiniano Tiberio, 44 anni di Casalbordino, direttore dello stabilimento; Stefano Stivaletta, 38 anni di Vasto, responsabile del servizio di protezione e prevenzione; Paolo Iocco, 51 anni di Casalbordino, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; e Carlo Piscopo, 55 anni, anche lui di Casalbordino, capo reparto. Devono tutti rispondere di omicidio colposo plurimo aggravato, perché «commesso con la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro», e disastro colposo. La Esplodenti Sabino, invece, è imputata per responsabilità amministrativa.
I nove imputati sono accusati di aver provocato il decesso dei tre dipendenti per «colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, e colpa specifica», dovuta alla violazione di 15 norme antinfortunistiche. Quel maledetto pomeriggio, la lavorazione era stata resa «altamente pericolosa» perché nel forno statico erano confluiti troppi materiali, peraltro diversi tra loro, tra cui polvere pirica, miscela incendiaria gelatinosa, legna impregnata di composto esplosivo, razzi di segnalazione e dotazioni nautiche. All’improvviso, mentre Colameo procedeva alla distruzione di questi prodotti, si è generata una fiammata di circa un metro, «con proiezione di lapilli, che ha provocato l’innesco immediato del materiale presente». La conseguenza è stata un’esplosione che ha dato origine «a un forte boato e alla formazione di una nube di fumo simile a un fungo con una lingua di fuoco al centro». La deflagrazione ha investito i tre lavoratori, che si trovavano a distanza ravvicinata e sono morti all’istante.
Tra le violazioni delle norme antinfortunistiche, c’è quella di aver «omesso di provvedere alla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, non indicando le misure di prevenzione e di protezione, né attuando il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza». Non solo: i nove imputati non hanno provveduto a far realizzare «opere volte ad evitare che gli impianti, le macchine e i meccanismi in genere potessero, nel loro uso, dar luogo a riscaldamenti pericolosi o scintille». E ancora: hanno consentito che nel locale in cui si trovava il forno fosse impiegato «personale privo di formazione specifica e di idoneo addestramento, adeguato all’incarico ricevuto, pur essendo tutti a conoscenza del relativo pericolo». Inoltre sono stati omessi «interventi di controllo straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza». L’accusa di disastro colposo è legata al fatto che dalla «devastante esplosione» è derivato anche «un pericolo per la pubblica incolumità». Le indagini sono state condotte dai carabinieri della compagnia di Ortona e coordinate dall’allora procuratore capo di Vasto Giampiero Di Florio (ora a Chieti).
E adesso una nuova inchiesta cercherà di fare luce su una tragedia che ha distrutto altre tre famiglie.
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