
L’AQUILA. Si intravede uno spiraglio concreto per la regolarizzazione delle casette provvisorie costruite nel post sisma grazie alla ormai arcinota delibera 58 del maggio 2009. La Corte costituzionale ha infatti dato il via libera a una legge regionale, la numero 29 del 2020, che dà la facoltà ai Comuni del cratere 2009 (e in particolare all’Aquila) di ricomprendere fra le zone “edificabili” le aree dove sono stati realizzati gli immobili provvisori. Ma attenzione. Non sarà una “regolarizzazione” generalizzata.
I NUMERI
In base ai dati in possesso del Comune dell’Aquila, nel dopo sisma 2009 in città e circondario sarebbero state realizzate 2.500 “casette”. Dati non ufficiali parlano addirittura di 5.000. Atteniamoci però ai numeri certi. Delle 2.500 abitazioni temporanee meno della metà risultano autorizzate dalla delibera 58. Il che significa che il resto non ha alcun “titolo edilizio”. Per queste ultime non c’è speranza, cioè non sono sanabili (il che però non significa che domattina arriveranno le ruspe). Per quelle in regola con la delibera 58 la possibilità che restino dove sono è ora più concreta anche se il Comune dovrà verificare in che luogo sono state costruite (ad esempio se la casetta è a due passi da un fiume difficilmente potrà essere “autorizzata”).
IL COMUNE
«Prendiamo atto della decisione della Suprema corte» ha detto ieri l’assessore all’Urbanistica, Daniele Ferella, «adesso verificheremo con la Regione e con i nostri uffici il percorso da fare».
LA SENTENZA
La sentenza non entra nel merito della questione. Va chiarito infatti che la legge regionale del 2020 fu impugnata dalla Presidenza del consiglio (per questo la vicenda è finita a Roma) che sostenne che la norma abruzzese consentiva «la trasformazione indiscriminata e in deroga alle norme urbanistiche di intere porzioni di territorio sottoposto a tutela» e, pertanto, vanificava «il ruolo stesso della pianificazione paesaggistica». La Regione con un provvedimento successivo ha specificato che la legge si prefigge non di «sanare», ma di «stabilizzare» manufatti «legittimamente realizzati», allo scopo di «dare certezza e stabilità ai nuclei familiari che vi abitano e che presumibilmente non riusciranno a rientrare nelle rispettive abitazioni originarie». Quindi «la disciplina in esame, lungi dal determinare nuovo consumo di suolo ai fini edificatori e dal consentire la realizzazione di nuovi insediamenti, riconosce uno stato di fatto oramai consolidato da tempo». La Presidenza del consiglio preso atto delle “modifiche” ha ritirato il ricorso e per questo nella sentenza la Corte scrive: «Con riferimento all’articolo 23, comma 1, della legge regionale Abruzzo numero 29 del 2020, il ricorrente (la Presidenza del consiglio) ha ritenuto satisfattive le modificazioni introdotte dall’articolo 6 della legge della Regione Abruzzo 23 aprile 2021, il processo, pertanto, va dichiarato estinto».
SANTANGELO
A dare la notizia della decisione della Corte costituzionale è stato Roberto Santangelo, vicepresidente del consiglio regionale: «Esprimo la più grande soddisfazione per il pronunciamento della Corte costituzionale. In particolare l’articolo 23, comma 1 della legge del 2020, con le modifiche apportate, non presenta – secondo la Suprema corte – alcun problema costituzionale. Non si tratta di sanare ma di stabilizzare manufatti legittimamente realizzati. Peraltro la legge regionale esclude espressamente quegli edifici che non presentano il titolo abitativo o costruiti in totale difformità o con variazioni rispetto allo stesso. Sono esclusi, altresì, gli edifici nei centri storici o nei nuclei antichi o quei manufatti che ricadono in aree vincolate o sottoposte a tutela dal punto di vista ambientale, idrogeologico o paesaggistico».
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