PESCARA. Aveva subito una misura cautelare di allontanamento dalla famiglia e di divieto di avvicinamento al coniuge. Poi, dopo la chiusura dell’inchiesta, il pm Rosangela Di Stefano aveva chiesto per lui il giudizio immediato con le accuse di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. Ma l’imputato, difeso dall’avvocatessa Sabrina Sbaraglia, ha scelto il rito abbreviato che si è tenuto davanti al gup Giovanni de Rensis che ha emesso una sentenza di assoluzione. Il pm aveva chiesto la condanna ad un anno, sei mesi e 20 giorni di reclusione. La sentenza fornisce una motivazione chiara sotto il profilo giuridico ma segna un precedente significativo proprio nel momento in cui questo tipo di reato si moltiplica con i cosiddetti codici rossi: il reato di maltrattamenti in famiglia, dice la sentenza, si può contestare solo in caso di «condotta abituale.
La vicenda è ambientata in un piccolo centro della provincia di Pescara durante la pandemia. La donna, madre di due figli, presentò ai carabinieri una denuncia riportando un paio di episodi di maltrattamenti e sottolineando la gelosia del compagno che riteneva addirittura che uno dei figli non fosse suo. Nelle sue motivazioni il giudice ripercorre la denuncia della donna che parla anche di un breve ricovero del marito nel reparto di psichiatria proprio sotto il Covid. Tornato a casa, però, stando anche alle dichiarazioni della denunciante, l’uomo si comportò normalmente e tutto sembrava andare per il meglio, fino a quando intervenne un altro episodio di maltrattamenti: l’uomo avrebbe sferrato un pugno alla donna (che però lo aveva prima colpito con uno schiaffone), perché innervosito dal fatto di aver ritrovato nella borsa della moglie dei chupa chupa che si erano rotti. Ebbene, vista l’assenza di una certificazione medica che attestasse precedenti lesioni della donna che, a suo dire, non volle denunciare il marito per timore che le togliessero i figli, il giudice spiega il perché dell’assoluzione per i maltrattamenti. «Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia», scrive il giudice in sentenza, «la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo, infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Ne consegue che per ritenere raggiunta la prova dell’elemento materiale di tale reato, non possono essere presi in considerazione singoli episodi di percosse o lesioni, né un eventuale precedente specifico che può valere soltanto per la valutazione della personalità dell’imputato agli effetti della determinazione della pena da infliggere in concreto». Da qui l’assoluzione perché il fatto non sussiste dai maltrattamenti in famiglia, mentre per le lesioni, «inferte dall’imputato in conseguenza dello schiaffo sferratogli dalla moglie», la non punibilità per aver agito in legittima difesa.